da Peter Freeman
Caro Csf, so bene che rugby e calcio sono due pianeti lontani assai i cui abitanti difficilmente riescono a comunicare tra loro. Detto per inciso, ho scritto di calcio e l’ho seguito per una vita, prima di abbandonarlo quasi del tutto. L’ho anche giocato, sei anni di campionati Uisp, roba fantozziana non poco. Il rugby no, non l’ho mai giocato, ed e’ un rimpianto, ma l’ho sempre avuto nel cuore. Robeck fa il nazionalpopolare e comunque e’ interista (sottospecie “interista sfigatus”, che sta prevalendo sulla specie “interista vulgaris”), e si rifiuta al rugby. Una prece. Cio’ detto, chiederei ai calciofili di non cadere nei luoghi comuni. Ad Arienti spiego che non c’e’ sport nel quale il campionario fisico sia tanto differente di quello del rugby: tra un mediano di mischia e un pilone, o tra un centro e un seconda linea la differenza balza agli occhi. Basta vedere le squadre allineate prima di una partita. A Schiavone spiego invece che il casco si porta per evitare le tacchettate nelle mischie aperte, e che le orecchie non le azzanna nessuno: si rovinano, le orecchie, per via dello sfregamento e dell’atrito con il tessuto delle maglie e dei pantaloncini nel corso delle mischie ordinate, il che genera le famose orecchie a forma di cavolo delle prime linee.
No, per quanto riguarda i mangiatori di orecchie, ricordo di aver scritto io, quando lavoravo all’Europeo, un fondamentale e splendido articolo intitolato appunto “Mangiatori di orecchie” che parlava del caso di un rugbista che preso dalla foga aveva addentato un avversario. Lui mi rispose dandomi del finocchio (csf)
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