di Alessandro Robecchi (Il Manifesto)grazie a Paola Bensi
Che il pensiero unico del leader unico si trasformi in partito unico non può stupire. Che la cerimonia diventi una cosuccia imperiale sospesa tra Bokassa e “Ok il prezzo è giusto” nemmeno, perché la sostanza culturale è quella, e lo sappiamo. E dunque nel giorno dell’incoronazione del monarca della libertà (la sua), ciò che fa veramente stupore e ci annichilisce è il candore disarmante di chi poteva impedire tutto questo, e non lo fece. Di chi ricorda oggi senza rabbia e senza vergogna, con immutato candore, errori di dimensione storica, però raccontati e stigmatizzati con la leggerezza dell’aneddoto curioso. E si parla dunque qui, come avrete capito, di George W. Violante, il prestigioso dirigente democratico (Pci, Pds, Pd, e succ. mod.) che si comporta esattamente come l’originale, quel poveretto di George W. Bush, uomo che dopo aver devastato il devastabile e fallito tutto il fallibile disse… ops, mi sono sbagliato. Ecco, in una gustosa intervista pubblicata ieri dal Corriere della Sera, George W. Violante dice proprio questo: perdindirindina! Non capimmo, non vedemmo! La prendemmo a ridere! Quando il cumenda della tivù scese in campo noi pensammo: “Come si permette di irrompere nella nostra politica in modo così sgrammaticato?”. Mette oggi una discreta rabbia questo insulso fatalismo di George W. Violante, rivela dosi di imperizia, incapacità di lettura della realtà, ignoranza dei fenomeni sociali, e in sostanza di incapacità politica che potrebbero ammazzare un cavallo. E pure un paese. Nessuno capì. Nessuno vide. Ci racconta Violante che “Pecchioli qualcosa intuì”, che forse D’Alema vagamente annusò. Tutto qui: nessuna delle grandi menti luminose e progressive del grande Pci seppe prevedere quel che sarebbe seguito: 15 anni di rovinose sconfitte, il cambiare degli equilibri in senso storico, un’egemonia culturale fatta di Grandi Fratelli e Marie De Filippi. Ed è solo l’inizio. Ops!… mi sono sbagliato, dice George W. Violante. E insieme a lui tutti gli altri. Si sbagliarono quelli dei patti scellerati che promettevano l’intangibilità della fabbrica del consenso berlusconiano (le tivù non saranno toccate, sempre Violante). Si sbagliarono i George W. D’Alema che andarono a Canossa, provincia di Cologno Monzese, a tranquillizzare i boss del Biscione che la loro azienda era comunque una “risorsa per il paese” (e quelli, geniali, li ricevettero negli studi di Stranamore!). Si sbagliò, più volte e più di tutti, George W. Veltroni, la cui sconfitta ha dimensioni che solo gli storici – forse – avranno il coraggio di affrontare. E insieme si sbagliarono tutti gli altri, uniti (salvo i defunti) da un unico, indissolubile e innegabile filo resistentissimo che ne lega i destini: stanno ancora tutti lì. Cioè, per capirci: quelli che, come racconta George W. Violante, “pensammo a una cosa poco seria”, quelli che “noi ironizzavamo”, quelli che “ci credevamo poco”, dopo un errore così spaventoso che costa al paese una ventina d’anni di peronismo per gli acquisti, stanno ancora tutti lì. Al loro posto, in Parlamento, in ruoli di altissima responsabilità, dirigenti, padri nobili, osannati, citati e letti (e pubblicati quasi sempre dalle case editrici di proprietà di Berlusconi, peraltro). Dopo un errore così monumentale, che ci è costato tanto, che ci perseguiterà ancora per anni, e dopo la sua così candida ammissione, che fare di tutti questi George W.? Non siamo in Giappone, il suicidio rituale non ci piace. Ma almeno andarsene in silenzio, tacere, vergognarsi un po’ della propria incapacità – anziché trasformare in aneddoto la propria dabbenaggine – sarebbe consigliabile. Ops, ci siamo sbagliati! Pure noi, tutti, a non farli sloggiare quindici anni fa. Una prece.
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