da Silvia Palombi
Fa parte della pedissequa americanizzazione dei nostri costumi l’ossessione per il caldo? Me lo chiedo reduce da un viaggio in una cella frigorifera ferroviaria adibita al trasporto di umani vivi da Roma a Milano rimpiangendo il tempo in cui solo in aereo era necessario infilarsi un cappotto. Uno dopo l’altro i mammiferi, ex viaggiatori ormai ridotti irrimediabilmente in clienti, hanno indossato quel che potevano senza fiatare temendo ritorsioni. Ho adoperato i fogli del mio taccuino per tappare la griglia sotto al finestrino che attingeva l’aria direttamente dal ghiacciaio. Cosi’ come e’ vero che i negri hanno il ritmo nel sangue e la pizza come la fanno a Napoli non la fanno da nessun’altra parte, non ci sono piu’ le mezze stagioni ma noi e la terra, sia pure in misura diversa, d’inverno abbiamo bisogno di freddo e d’estate di caldo; non credo sia sano continuare a vivere 365 giorni all’anno in un limbo neutro e noioso di 18 gradi centigradi al massimo, facendo finta che la’ fuori nel mondo cattivo c’e’ una temperatura che ci fa male. Oltretutto col freddo non germogliano bene neanche le idee. Mi sono scaldata facendo ordine perche’ un treno pulito e’ piu’ bello e scendendo dalla scaletta al terminal della Centrale mi sono sentita come a La Habana. E’ stato bello.
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