da Roberto Pellicciari, Reggio Emilia
Dato che si continua a parlare di pane, non posso trattenermi dal raccontare un aneddoto. Anni “50, sono alle elementari e vengo invitato a pranzo dal mio compagno di banco. Famiglia di onesti mezzadri, comunisti rigorosamente ortodossi. Mentre si apparecchia io leggo il “Corriere dei Piccoli”, il mio amico è invece abbonato a “Il Pioniere”, che già magnifica le imprese dello Sputnik. Menù a base di minestra, più pane e salame e via andare. A un certo punto, annoiato, mi metto a giocherellare infilando ripetutamete i denti della forchetta in una pagnotta. Ma la “rèzdora” di casa insorge: “Non sai – mi dice senza ironia – che se furi il pane (dal dialetto “furér”, forare) furi gli occhi a Dio?”. Gli altri commensali, tutti targati Mosca, non hanno nulla da ridire e nessuno abbozza un commento o un sorriso. Da allora conservo il rispetto assoluto per il pane e la convinzione delle radici cristiane, se non dell’Europa, almeno della rossa gente padana di queste parti.
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