Marco Travaglio sull’Unità
Quanto vale la vita di un inglese rispetto a quella di un iracheno, afghano, israeliano, ceceno? E, in prospettiva, quanto vale la vita di un italiano in campagna elettorale? Sarebbe interessante parlarne, in tv, se esistesse ancora l’informazione e dunque non circolassero i Vespa e i Masotti richiamati dalle ferie per apparecchiare i soliti teatrini senza notizie e senza idee, disertati da un pubblico che non ne può più (il pietoso 18.30% di ascolti dello speciale Porta a Porta, doppiato dal film di Canale5 «Qui dove batte il cuore» col 25.75, parla da sè).
Sarebbe interessante ricordare che quanto è accaduto l’altroieri a Londra accade ogni giorno in Iraq e in Afghanistan da quando vi abbiamo esportato la pace e la democrazia, che in quattro anni Israele ha avuto non 50, ma mille cittadini ammazzati sugli autobus, che le stragi si susseguono dalla Cecenia all’Indonesia al Darfur nel silenzio generale, e dunque il terrorismo non è un attacco alla civiltà e allo stile di vita occidentali o europei o inglesi. Che, se oggi siamo tutti londinesi, come nel 2001 eravamo tutti newyorkesi e nel 2004 tutti madrileni, dobbiamo essere altrettanto israeliani, ceceni, indonesiani, sudanesi.
Poi magari qualcuno si ricorderà che siamo pure italiani e di stragi impunite ne abbiamo avute anche noi: piazza Fontana, piazza della Loggia, Italicus, Bologna, Ustica, treno 904, Capaci, via d’Amelio, via Palestro a Milano, via dei Georgofili a Firenze. Furono opera di neofascisti, mafiosi, servizi deviati o «alleati», con depistatori e «mandanti occulti» che tutte le sentenze indicano o invitano a cercare, ma nessuno cerca più, mentre un autorevole ministro dichiara che «con la mafia bisogna convivere».
Tante cose si potrebbero dire in tv se esistesse l’informazione. A cominciare dalle più ovvie: per esempio che la strage di Londra, come quella di Madrid, era la più prevedibile del mondo perché è una conseguenza diretta della guerra illegale in Iraq. E che se l’Italia, come dice il suo premier, «è esposta al pericolo di attentati», è perché ve l’ha esposta qualcuno: per esempio un premier che dopo l’11 settembre 2001, proclamò «la superiorità della civiltà occidentale su quella islamica», o un presidente del Senato, tal Pera, che da anni insegue la Fallaci teorizzando lo «scontro di civiltà».
E i terroristi – come osservava acutamente una consigliera del governo Usa a Primo Piano – «i giornali li leggono e le tv le guardano». Sono talmente informati che avevano saputo dove e quando si sarebbe svolto il G8: proprio in quella Gran Bretagna che, come l’Italia, la Spagna di Aznar e pochi altri governi, ha seguito gli Usa nella guerra illegale all’ Iraq. Hanno capito ciò che le cosiddette intelligence poco intelligenti non avevano nemmeno ipotizzato: e cioè che il luogo e il momento ideali per una strage erano Londra e il G8, nel domicilio del miglior alleato di Bush. Ma, come ricorda Robert Fisk sull’Unità, «gli stessi ‘esperti’ di intelligence che giuravano sulla presenza di armi di distruzione di massa in Iraq quando non ce n’era traccia, si sono rivelati totalmente incapaci di scoprire un complotto di mesi per assassinare dei londinesi».
Si potrebbe, in una tv di vera informazione, spiegare un curioso effetto collaterale della guerra in Iraq:dichiarata per «combattere il terrorismo là prima che arrivi qua», ha portato il terrorismo sia «là» (dove prima non esisteva) sia «qua», centuplicando il rischio di attentati anche in Europa.Ora tutti dicono che l’Europa «deve rispondere unita». Ma l’Europa non è unita: è divisa fra chi fa la guerra in Iraq e chi non la fa, e a dividerla è stato chi ha deciso di fare la guerra in Iraq contro l’Onu, l’Ue, il Papa e il diritto internazionale.
Chi non l’ha fatta aveva ragione e chi l’ha fatta aveva torto, ma nella nostra tv di regime si continua a dar torto a chi aveva ragione, e viceversa. Intanto però i ministri Fini e Calderoli cominciano a parlare di «ritiro progressivo» delle truppe italiane: la stessa cosa che dice (o dovrebbe dire) la sinistra, sempre accusata di parteggiare per Saddam e Bin Laden come il «codardo» e «imbelle» Zapatero.
A che dobbiamo l’ improvvisa conversione? È cambiato qualcosa in Iraq? Assolutamente nulla: stragi oggi come ieri. È cambiato qualcosa in Italia: fra pochi mesi si vota. Un attentato ora potrebbe costar caro al governo della «missione di pace» in Iraq. Inventare una pista anarchica o no global, come Aznar affibbiò la strage di Madrid all’Eta, è rischioso. Oggi Aznar è un pensionato e nessuno gli crede più. Salvo, si capisce, il ragionier Pera.
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