da Gianni Guasto, Bogliasco
Con bruschetta, panzanella, fattosh (Egitto), insalata di pane fritto, cappone in galera, l’impiego del pane secco segna la sterminata geografia mediterranea delle ingegnosità culinarie in tempi di vacche magre, per non parlare della persistenza dello stesso ingrediente in piatti sempre più elaborati: acquacotta, pappa col pomodoro, pancotto, ceci in zimino, ciuppin (zuppa di pane e pesci di scarso pregio, da pescarsi rigorosamente in proprio), e zuppe varie fino a Sua Maestà la ribollita. In previsione di lunghe traversate di mare, in qualche caso il pane fu secco addirittura all’origine: è il caso delle gallette marinare, immangiabili se non immerse preventivamente in acqua, che ai tempi di mio nonno poteva ancora essere di mare. Condito con olio, aceto, pomodori, olive e acciughe dissalate o mosciame o bottarga (in arabo: batarek), fu il cibo elettivo delle galere, ironicamente chiamato “cappone” (in galera); ma, tornato a terra e progressivamente arricchitosi di ingredienti, dalle verdure ai pesci più pregiati, su su fino all’aragosta e alle ostriche, e irrorato abbondantemente di salsa verde, il cappone in galera divenne “cappon magro” (cibo dei giorni di vigilia) senza dimenticare mai la propria origine povera, conservando la galletta inumidita in acqua e aceto come colonna portante.
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