di GIAN ANTONIO STELLA (Corriere della Sera, 30 gennaio 2005)
«I tunnel, io, li amo», spiegò un giorno a un settimanale popolare. E quando ama, Pietro Lunardi, ama. Basti ricordare la foga con cui descrisse il suo Cavaliere: «Il governo è come la Ferrari e Berlusconi è Schumacher: ha una marcia in più, riesce a trascinarci e a trascinare l’intero Paese». Una sviolinata tale che un cronista non ostile, Mattia Feltri, gli donò un nomignolo immortale: «Il ministro con trasporto». Lui pure, tuttavia, nonostante l’esperienza e la passione («Nel sottosuolo si incontrano sempre cose nuove, impreviste, straordinarie») comincia ad essere inquieto: dove sarà, la fine del tunnel? La Grande Nevicata Calabra, infatti, è solo l’ultima di un a lunga serie di grane. Per carità, in mezzo alla bufera lui dice d’avere la coscienza a posto: «Non ho nulla da rimproverarmi». Come quando 118 persone morirono nello scontro tra due aerei sulla pista di Linate. O quando una decina di passeggeri perirono nello schianto tra due treni sul binario unico Messina-Palermo. O ancora quando, tre settimane fa, altri 18 cittadini persero la vita in un nuovo scontro tra due treni su un altro binario unico a Crevalcore. Tutte cose che, sommate ad altre fortunatamente minori, sarebbero in al tri tempi bastate, in un Paese dove perfino al Quirinale Enrico De Nicola si teneva accanto un segretario gobbo e Giovanni Leone faceva le corna contro la «jella cosmica», a spingere qualcuno a invocar le arti di uno «schiattamuorto». Come fecero qualche anno fa, con qualche volgarità di troppo, diversi spiritosoni del centro-destra che ce l’avevano con uno dei predecessori di Lunardi. Nemesi storica. Intendiamoci: idiozie. Il rischio che il responsabile delle infrastrutture corre, semmai, è che un uomo attento a certe cose come Berlusconi, che prima delle ultime politiche distribuì ai candidati della Casa delle Libertà anche un opuscolo dove, oltre a lussuosi sondaggi, c’era l’annuncio che «Giove nel segno dello Scorpione» avrebbe dato «garanzia di risultati», si faccia prendere dal dubbio sulle ragioni di Napoleone il quale, come è noto, non si accontentava d’avere generali bravi: li voleva fortunati. CONTINUA…
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