da Gino Roca
Caro Claudio, sono solo un umile cronista invecchiato sulle moto che finora credeva potessero essere protagoniste di un film, di un sogno rivoluzionario, di una pagina di storia, magari anche di un’idea filosofica. Ma non avrebbe mai immaginato che fossero utili anche per soffocare un’insurrezione. Ecco perchè noi che amiamo la motocicletta non amiamo i basiji, la milizia degli ayatollah, e le loro moto rosse. Noi andiamo a bere la Guinness all’Ace Cafè di Londra solo per il piacere di vedere sul macadam una parata di Triumph, Norton e Bsa. Noi amiamo ”Easy rider”, la cavalcata americana di Peter Fonda e Dennis Hopper sui chopper Harley Davidson verso il carnevale di New Orleans , con i soldi della coca nei serbatoi. Noi per un po’ fummo anche guevaristi quando il Che e Alberto Granado volevano cambiare il mondo e viaggiavano insieme sulla ”poderosa”, una vecchia Norton 500. Noi non dimentichiamo il colonnello Lawrence d’Arabia, britannico re arabo senza corona, che visse e morì in sella a una Brough superior. Noi che abbiamo letto Robert Pirsig , l’autore di ”Zen e l’arte di manutenzione della motocicletta” per capire la ”metafisica della qualità”. La mente come una moto perchè bisogna sempre accorgersi per tempo quando occorre occuparsi della loro manutenzione. Noi che la morte prima l’avevamo vista solo in un film, ”Il selvaggio”, con un giovane Marlon Brando in sella a una Triumph Bonneville con le stradine di Wrighsville a fare da sfondo a un fatto vero di cronaca, nella guerra tra bande di motociclisti californiani. E che adesso la ritroviamo per le strade di Teheran. Dove sfreccia il terrore sulle motociclette rosse dei basiji.
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