da Repubblica di oggi
Accusato di ateismo, e di aver corrotto la gioventu’ ateniese, Socrate non volle avvalersi del lodo Schifani (nonostante sia retroattivo) e bevve la sua cicuta, perche’ una sentenza ingiusta non valeva comunque un’umiliante fuga. Meglio morire da giusti che vivacchiare da caluniati. Questo narrano, in sintesi, i nostri avi pagani (a proposito, sono per la riapertura del dossier “radici pagane dell’Europa”). Onestamente, non si vedono molti punti di contatto tra quella vicenda e questa qui del senatore Dell’Utri, che pure ci ha ricamato sopra una tournée teatrale, simboleggiante la continuita’ tra le due ignobili persecuzioni: quella del maestro ateniese e la sua. A partire dai capi d’imputazione (traffici finanziari con la malavita oggi, reati d’opinione allora), e del diversissimo rapporto dei due imputati con il potere (Socrate era contro, Dell’Utri pro), ci sembra che la forbice fra i due “casi” sia piuttosto ampia. Dev’essere per questo che l’attore Cavina, l’altra sera, ha preferito ricordarsi (era ora!) di essere l’interprete di Socrate e non di Dell’Utri, rinunciando a andare in scena. Lo hasostituito lo stesso Dell’Utri, che al grido de “il dibattito si'” e’ salito sul palco in un delirio di dame e cavalieri. Ma, con apprezzabile senso della misura, non ha recitato il testo di Platone: ha preferito ribadire quanto gia’ dichiarato a “Porta a porta”.
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