da Giorgio Malaga
Carissimo Claudio, innanzitutto bentornato a «Primapagina». Mi dispiace molto essere duro con te, che sento come una persona simpatica, onesta e amica, ancorché un tantino schierata, ma mi fa tanta rabbia ascoltare dalla bocca di tutti voi “anime belle”, ideologizzati di sinistra, il ritornello, ripetuto ossessivamente, che, siccome anche noi siamo stati un popolo di emigranti, abbiamo il dovere di prenderli questi clandestini, mentre chi si oppone viene immediatamente bollato di razzismo. Premetto che non ho letto il libro di Gian Antonio Stella (sono molto impegnato a fare e non ho molto tempo per leggere), ma, avendo viaggiato in paesi americani, ho potuto parlare direttamente con nipoti e pronipoti di nostri emigrati (qualcuno parla ancora un discreto italiano) mi pare che il più delle volte e la maggior parte degli “antirazzisti” che ti telefonano siano o ignoranti, o ideologizzati o demagoghi. Mi spiego:1) Il fenomeno dell’emigrazione italiana si colloca in un periodo storico completamente diverso dall’attuale; allora la popolazione mondiale non era di sei miliardi d’individui.2) Era diretto verso paesi semi-disabitati (e tuttora lo sono, vedi come esempio l’Argentina!).3) Non era, se non in minima parte, clandestino, anche per l’impossibilità materiale di attraversare l’Atlantico clam (nascostamente), ma veniva incoraggiato da “rappresentanti ufficiali” dei paesi accoglienti, che sul nostro territorio ingaggiavano uomini e donne disposti a rischiare, ai quali veniva pagato il viaggio di “sola andata”. Partivano su dei “bastimenti” regolari e visibili e non su delle carrette condotte da “pirati e mafiosi”. Al loro arrivo nei porti (paesi) di destinazione facevano la “quarantena”! (…)
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