da Primo Casalini, Monza
Non ci si può chiamare fuori da Bruno Vespa. Come Dio, è dappertutto. Quasi ogni giorno sui giornali c’è una sua lettera, un trafiletto, una precisazione, una minaccia di querela. A volte la lettera è una vera e propria circolare: ho visto quella sui suoi compensi pubblicata tale e quale da diverse parti. Se a ciò si aggiunge che ci sono discussioni pro e contro, articoli di giornalisti verdi di invidia o rossi di rabbia, pubblicità dei suoi libercoloni, ormai si può dire che la foliazione dei giornali prevede ogni giorno uno spazio Vespa più grande dello spazio Necrologi. Ogni anno una piccola foresta viene trasformata in carta per ospitare le parole di Bruno Vespa. Poi ci sono i modellini, i plastici, le costruzioni scoperte (come al conclave di Viterbo) per vedere come l’assassino può essere passato dalla toilette allo sgabuzzino senza essere visto dalla cognata della vittima, e il raccordo fra il ponte sullo stretto e il mercato ortofrutta di Cefalù. Il produttore di Lego, dopo anni di crisi, intravede un futuro non più fatto di bambini svegli ma di anziani a bocca spalancata: kit ad personam vengono predisposti con le istruzioni di montaggio firmate da Taormina e da Crepet ed una benedizionaccia lesta lesta del cardinal Tonini. Non basta: c’è il risiko dei campi di battaglia, le sofisticate telecamere protuberanti, atte a riprendere prezzemoline alto-sgabellate, i tarocchi per le chiromanti, i mazzi di carte per andare in Iraq alla ricerca del sette di fiori o del fante di picche, visto che i marines non li hanno ancora trovati. Eppure. nelle lettere di Vespa ai giornali intravedo la sua sfiga segreta, il “come sono andato?” che colpisce dovunque, dalla balera al consiglio di amministrazione: dipendere dall’opinione altrui per alimentare la propria autostima.
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