di Matteo Tassinari
Io ho 40 anni e non 20. Conoscevo di striscio Gabriella Ferri. Non mi piaceva come artista, come cantante. Non riuscivo a capirla e ormai non la capirò mai. Ogni volta che la vedevo alla tv era un pugno al cuore: dirompente. Colorata. Eccessiva. Generosa sicuramente. Due occhi che non passavano inosservati. E il dramma dentro di lei che non ho mai visto. Lo so, sono stantie queste parole, vuote rispetto al vortice d’immagini che naviga in testa. Sono un nulla di fronte al potere immaginifico della mente che vorrebbe sapere i suoi ultimi minuti, che smalto aveva laccato sulle unghie, se ce l’aveva, che scarpe portava, il suo volto dagli zigomi forti. E non basta un Fiorello per ricordarla col sorriso cantando “Zazà” in un programma stupido del sabato sera. La tristezza, il non riuscire a capire, rimane profondo e silenzioso.
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