da Gianni Guasto
Ecco quello che mi é capitato stasera: verso le sei, stavo scendendo lungo il Viale delle Palme, a Nervi, quando vedo venirmi incontro propi lu, il Castelli. Camminava bel bello, sotto la sua cupoletta di capelli ancora tiepidi di casco, e conversava pacatamente con un signore alto, dall’aria rubizza e amimica come lo sono talvolta gli anziani che hanno qualche problema di circolazione. L’uomo, vestito in un impeccabile abito scuro, aveva di certo un’età molto avanzata.Passandogli vicino, sento il Castelli dire: “é un cantante nostro, uno di Como”. In quel momento non stava litigando con Bersani, né inveendo contro nessuno; era calmo il Castelli. Mi sono allontanato pensando a quella incomprensibile monomania: il “cantante nostro”, uno delle “nostre parti”, mica degli altri. E mi chiedevo anche come si sentano qui i leghisti padani doc, qui che c’é il mare, ed é difficile delirare di nostro e di loro, perché davanti c’é l’infinito, perché c’é il porto, e una volta c’erano i marinai portoghesi e le bagasce napoletane di Paoluzzo ‘o Pazzo e di Marechiaro, c’era (c’é ancora) Fabrizio de André, e c’erano i contrabbandieri di bionde e adesso c’é la Casbah con i marocchini dentro che fanno affari d’oro, e via Pré non é mai stata così pulita. Chissà come si sentono qui i leghisti, tra noi spocchiosi campanilisti di costa che guardavamo con sussiego più alla pianura che al sud: “ti neui cumme un de Vareise, ti metti anguscia” (“nuoti come un Varesotto, fai pietà”), mi diceva mio nonno. Che poi le palanche c’erano e non é che lui invidiasse quelli della Briansa che gli sembravano contadini aggiustati.Poi raggiungo il parcheggio della stazione e salgo in macchina e accendo la radio, e lì accade il miracolo: sul Tre c’é la Grande Radio, spezzoni di epoche che non ci sono più, e trasmettono il dialogo fra Gregory Peck e Audrey Hepburn in Vacanze Romane, quello in cui lei, seduta sulla scalinata di Piazza di Spagna racconta di essere scappata dal collegio. E poi danno un’intervista che l’attore rilasciò a Ciak in cui raccontava come tutta la lavorazione del film si fosse protratta più a lungo del normale, perché girata in tutti gli angoli più belli di Roma. E poi ancora Pasolini, durante la lavorazione di Accattone, e poi Fellini che spiega il significato delle parole “Dolce” e “Vita”. Ed é stato allora che ho ripensato a Castelli.
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