di Santi Urso
Ella mi deve scusare, ma mi devo essere perduto qualche punto. Se ho capito bene, Lei accetta il ponte come opera d’ingegneria, nella sua qualita’ di struttura di utilita’, e auspica simultanee opere strutturali di non minore respiro e responsabilita’. E’ cosi’? Speremo de no (Nereo Rocco). Il ponte e’ opera auspicabilissima (io gli sono incondizionatamente favorevole) purche’ depurata di ogni sottinteso utilitaristico. Meglio: la sua utilita’ e’ nel farsi, nel movimento di manodopera e capitali, nel continuo ripensamento dei costi, nei collaudi e nelle polemiche. Una volta finito, nel senso della stesura della campata, va considerato pura meraviglia (tra l’altro sicurissima: potra’ solo ondeggiare), di suggestione infinita (sarà un filamento bianco tra cielo e mare, poco piu’ che una bava di baco, figurarsi se l’ecosistema se ne accorge). Tutto questo e’ immaginabile nell’arco d’un ventennio (absit iniuria verbis). Ma il resto? Quelle che Lei auspica sono immaginabili nel prossimo secolo (non Le sembra troppo in la’). Ce ne sono altre, in verita’, impossibili: esempio, da terra come si arrivera’ a Messina? (il ponte deve per forza addentrarsi nell’entroterra, diciamo fino a Palermo?), una volta perso un quarto d’ora (si’ perso, non guadagnato, perche’ i paragoni devono essere fatti a parita’ di punto d’ingresso, e l’accesso al ponte allontana, non avvicina, isola e continente) cosa fanno treni e auto? usufruiscono delle opere da Lei intraviste in sogno? mi creda: facciamo il ponte e poi facciamo pagare il biglietto per vederlo, da traghetti e aliscafi.
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