da Alessandro Ceratti
Recenti avvenimenti e considerazioni personali mi hanno spinto ad una revisione delle mie convinzioni. Pertanto pubblicamente annuncio che ho cambiato fronte: al referendum sull’Art. 18 (per esempio) mi asterrò. Determinante in questa mia risoluzione è stata la corrispondenza con un amico diessino molto cofferatiano, ma anche decisamente integrato. Insomma, un po’ come il nostro CSF. Rispondendo ai miei argomenti per il SI così testualmente afferma: “…non si tratta di un diritto naturale ma puramente storico: viene cioè rivendicato quando le condizioni sono favorevoli […] Il rischio concreto, già visibile, è la delocalizzazione a est, con conseguente disoccupazione in casa nostra”. A questo punto mi sono detto: Vadano sulla forca! Se tutta questa gente che dovrebbe lottare per ottenere per sé dei diritti (sia pure non naturali) in un mondo pieno di privilegi rinuncia, se spontaneamente decide di confrontarsi con gli operai rumeni invece che con quelli tedeschi (avete mai visto un manager pensare di dover essere pagato come un pari ruolo bulgaro?) che cosa ci posso fare? Grazie a Dio il mio destino non è il loro, fosse per me reintrodurrei anche la servitù della gleba. E’ vero, ha ragione Grondona, sono gli operai che mandano in rovina l’Italia.
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