di Filippo Facci – Dal Giornale di oggi
La seconda immagine è una scena del film The wall dove c’è il protagonista che si lobotomizza lentamente davanti alla tv e poi si fa una canna dietro l¹altra: intanto le immagini scivolano e i conduttori straparlano; sinchè il protagonista si alza dalla poltrona e si mette a urlare, prende una mazza da baseball, comincia a devastare l’appartamento, solleva il televisore e lo scaraventa dalla finestra. Scrash. La terza immagine è una scena del film Zabrinsky point dove inquadrano una meravigliosa esplosione girata al rallentatore (con 17 macchine da presa) e dove si vede un televisore che va in un miliardo di pezzi, fantastico, suggestivo. Manca la prima immagine: èun televisore che trasmette il Festival di Sanremo. Ecco. Adesso parliamo male del Festival: assurdo. Più banale del Festival c’è solo il detestarlo. Eppure c’è una cosa ancor più banale, ormai: spiegare che il Festival è solo uno specchio del Paese, uno dei tanti; magari deformato, ma uno specchio. Un qualche Biagi (è sicuro) lo ripeteràancora una volta. Noi potremmo ugualmente tentare un esperimento: cominciare a ipotizzare che non sia vero. Potremmo cominciare a pensare che il Festival sia uno specchio deformante come quelli dei Luna Park di una volta: una stortura, una caricatura. Potremmo cominciare a presupporre che i bassi ascolti non siano solamente dovuti a una cattiva fattura del Festival, bensì a una congettura che vogliamo fare nostra: forse gli italiani stanno cambiando, forse gli italiani, negli ultimi cinquant¹anni, sono cambiati. E non sono cambiati col Festival, ma nonostante il Festival. Pensateci. Mettete la pulce nell’orecchio ai giornalisti stranieri (sono centinaia) che seguitino a dipingerci davanti al televisore, in canottiera, spaghetti alla pummarola, lupara sotto il letto. Guardate il Festival, se credete, e provate a ripetervelo: io no, io non sono quella cosa lì. Male che vada, è un esercizio di autostima.
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