da Primo Casalini, Monza
La faccenda è andata così. Girellavo in Val d’Orcia, fra Monteoliveto e San Quirico. La guida rapida del Touring non la guardavo, neppure le carte stradali: ogni cinque chilometri c’era qualcosa che mi costringeva a fermarmi, senza aver bisogno di dargli il nome, a quel campanile, quella rocca, quel muro, quel cipresso, quegli ulivi . Ecchissenefrega dei nomi! Avevo fame: giunto in un paese, in una panetteria ho comprato quattro fette grandi di pane e nella salumeria accanto un etto di prosciutto. Sono andato nel punto più alto del paese, mi sono seduto su una panca di legno e, adagio adagio, ho cominciato ad erodere i due grandiosi paninazzi, che all’uopo avevo costruito. Gli occhi spaziavano sul paesaggio toscano, i boschi toscani, le facce toscane, i castelli toscani e, se lo sguardo scendeva, sul pane toscano, il prosciutto toscano ed il vino toscano, pure quello. D’improvviso, è arrivato lui, piccolo, imberettato , agitato, saltellante sui tacchetti. A parte i marcantoni della scorta, quelli che lo seguivano camminavano piegati in due, sgomitando tra loro per essergli più vicini: si indovinavano le code scodinzolati nel retro dei pantaloni. Arrivato in cima, si è girato pian piano per 360 gradi, guardando tutto come se fosse suo, persino i paninazzi, il prosciutto ed il vino. Taceva, e tacevano pure i marcantoni e gli scodinzolanti. Le grandi arie di possesso sono mute. A quel punto mi ha guardato. E l’ho guardato pure io. Il mio braccio destro si è alzato, piegato a 90 gradi. La mano sinistra si è inserita nell’incavo del braccio destro. Che dice, commissario, l’attenuante della provocazione grave me la daranno?
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