da Paolo Beretta
Posso anche capire che gli ebrei si sentano a disagio ad essere chiamati “razza”, visto quello che e’ successo in passato. Mi manca pero’, a questo punto, un termine da poter usare per definirli. Chiamare una persona di colore “negro” viene visto da molti, magari anche a ragione, come un termine insultante, tanto da aver coniato l’aggettivo “di colore” per indicare una persona di pelle scura. Se pero’ andiamo avanti su questa strada, rischiamo di vedere esaurito il vocabolario in fretta: gia’ c’e’ chi si offende se lo chiami “meridionale” o “padano”. Se una parola viene sporcata dalla Storia potremmo anche provare a ripulirla, prima di restare senza.
Detto questo, pero’, mi sembra che gli ebrei abbiano i nervi piu’ scoperti del dovuto. Mi lascia alquanto perplesso che, quando si parla di africani, cinesi o balcanici, si parla di “razzismo”, nel caso degli ebrei di “antisemitismo”, nel caso della sola Israele di “antisionismo”. Niente di grave, per carita’, ma questa tendenza mi sembra indicare una ricerca di “unicita’” della loro situazione.
Io non mi ritengo ne’ razzista, ne’ antisemita, forse un pochino antisionista (specie se Sion la edifichi sulle ossa dei bambini). Se mi capita a tiro un poveretto, cinese o africano o altro, non perdo l’occasione per chiedergli di parlarmi di lui, dei suoi costumi, di casa sua, perche’ sono curioso. Io, le differenze le cerco e le apprezzo, sicuramente non le subisco, di conseguenza un “africano”, per me, e’ un’occasione in piu’ di crescere.
Senza ovviamente generalizzare (ci mancherebbe), a volte ho l’impressione che l’unica differenza tra un razzista ed uno che si infastidisce a sentir parlare di razza sia che il secondo, almeno, ha sufficienti principi morali per ricacciare indietro la sua paura del diverso.
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