L’altro giorno andando in taxi all’aeroporto sono incappato in uno di quei taxisti un po’ troppo focosi. Non che andasse forte. Ma faceva cose strampalate. Insultava gli altri automobilisti. Si agitava. Toglieva le mani dal volante. Girava la testa indietro. Corna, parolacce, gesti osceni. Pensavo: la nostra vita è sempre appesa a un filo, anche nei momenti in cui non dovrebbe. La nostra vita dipende dagli umori e dalla salute mentale di gran parte del nostro prossimo. Mi chiedo: ma la licenza di conduttore di taxi è subordinata al superamento di una visita medica e psicologica annuale, così come succede per i piloti di aeroplano? Temo proprio di no. Tempo fa un giudice milanese mi spiegò che, visto che l’un per cento degli italiani (o il due, o il tre, non ricordo ma non è essenziale al ragionamento) ha disturbi mentali, un italiano su cento (o due, o tre) rinviato a giudizio può star certo che verrà giudicato da un disturbato mentale (a causa del fatto che i giudici non hanno come obbligo quello di sottoporsi a visite che controllino il loro stato di salute mentale). Ci sono delle professioni e dei mestieri in cui non è molto importante che l’uomo sia a posto con la testa. Il contadino, l’industriale, il negoziante, l’idraulico, l’impiegato del catasto e tanti tanti altri. Ma l’autista di autobus? Il ferroviere? Il medico? Il giudice? Il vigile urbano? Il poliziotto? A loro affidiamo la nostra vita e loro possono distruggerla. Perché non dobbiamo avere la certezza che siano sani di mente?
Claudio Sabelli Fioretti
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