da Manuela Faccani
Da quanto tempo non fate un giro nei grandi magazzini? Niente di raffinato, quei posti da dove escono ragazzine che ridacchiano e signore con abiti di una taglia sempre inferiore al necessario. Io ci sono passata oggi, a sbirciare le novità pret-à-porter della stagione; ed ho capito che la stagione parla di guerra. Dappertutto jeans mimetici, giubbotti olive green, camice desert storm… e magliette, anch’esse mimetiche, con stampigliato sopra NO WAR, PEACE, NOT IN MY NAME, e via pacificando. La guerra e il suo contrario hanno colpito la mia attenzione, unite in un assurdo connubio da pochi euro.E’ stato come se tutte le ansie, le discussioni, le avide letture dei giornali per essere aggiornati sugli ultimi sviluppi della situazione internazionale…; come se le prepotenze degli Stati, le miserie dei popoli, i cortei di protesta, le fatiche diplomatiche, l’ONU, Saddam, Bush… tutto perdesse di senso, masticato e triturato da un’industria che tutto omogeneizza e banalizza, rendendolo gioco di ruolo, pagina di rotocalco da sfogliare e subito dimenticare annoiati. Come se essere a favore o contro, avere un’opinione o quella opposta, fosse proprio la stesa identica cosa, purchè lo si sfoggi con disinvoltura e senza troppo impegno. La guerra è di moda, e per converso la pace, rese carine, leziose, trendy, stampigliate su jeans e magliette, destinate a ben incruente conquiste. E’ tempo di guerra, ma niente paura; non è mica una cosa seria, ci strizzano l’occhio le vetrine dei grandi magazzini.
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