dal Riformista
Più che gioire per la scarcerazione dei diciotto no global arrestati a Cosenza, noi inorridiamo. Inorridiamo per la detenzione punitiva e preventiva cui sono stati sottoposti, e per la quale evidentemente non sussistevano motivazioni giuridiche tali da essere accettate dal Tribunale del riesame di Catanzaro, che infatti li ha liberati. E inorridiamo anche per l’uso politico che di questa vicenda si sta già facendo da parte di chi proprio non riesce a non dare un colore a ogni atto della magistratura. La destra è solita – per le note ragioni – a comportarsi così. Ma una certa sinistra, quando è lei a reagire in difesa della propria parte, non è certo a meno. Ne consegue un insopportabile e macabro bilancino della giustizia. Secondo il quale i no global scarcerati pareggiano l’archiviazione del procedimento contro il carabiniere che a Genova uccise un no global, Carlo Giuliani.
Ai carcerati di Cosenza sono stati finalmente tolti i ceppi perchè le opinioni non sono mai reati,. non perchè le loro opinioni erano buone e «una parte della magistratura – come ha dichiarato ieri il diessino Folena – ancorata al rispetto dei diritti costituzionali» comprende meglio dell’altra che «quel reato accomuna milioni di persone: la volontà di cambiare il mondo». L’onorevole Pisapia di Rifondazione ha facoltà di pensare che «l’antagonismo sociale non è solo un diritto, ma spesso un dovere giuridico e morale»; ci corre però l’obbligo di informarlo che noi, che da quel dovere non ci sentiamo vincolati, non ci consideriamo per questo cittadini peggiori o più vili. Se si reagisce così, con il ricorso all’ideologia, ai fallimenti del nostro sistema giudiziario, possiamo abbandonare ogni speranza di riforma. Quello che non funziona è la giustizia, non la mancata educazione civica e politica dei magistrati inquirenti. Quando Nichi Vendola, sempre Rifondazione – si interroga «su chi e perchè si dedichi a tempo pieno alle intercettazioni ambientali, telefoniche e telematiche di migliaia di ragazzi e ragazze che hanno il torto di andare a cortei nei centri sociali», forse non lo sa ma si interroga sull’obbligatorietà dell’azione penale, e sulla facilità con cui diviene discrezionalità.
Se non si scende nel concreto delle norme e si butta invece tutto in politica, si rischia quel corto circuito che distingue tra «giustizia formale» – quando non ci piace – e «giustizia sostanziale» – quando ci piace. Per cui una sentenza è buona se scarcera i no global e cattiva se archivia l’accusa di omicidio contro il carabiniere che sparò a Giuliani. Per cui un processo non s’ha da fare, l’altro s’ha da fare ad ogni costo. Confondendo il processo che si farà – contro i responsabili delle violenze poliziesche a Genova – con quello che forse non si farà – contro un milite che ha agito per legittima difesa. A noi, più modestamente, ci basterebbe una giustizia sempre formale.
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