dal Barbiere della Sera
Vorrei parlarvi di Vera che tre anni fa ha lasciato l’Ucraina e tre figli. Il più grande ha undici anni, il più piccolo sette. Dice sommessa: ho tanta paura che si dimentichino di me. La sua è una storia di inconsolabile tristezza. Una delle tante. Vera è una collaboratrice domestica ma soprattutto è un’immigrata, che è come avere un’altra identità. Quando sei questo – un’immigrata – sei l’ombra indistinta di ciò che eri, una persona alla quale – in un Paese indifferente – è negato il diritto di avere un personale tracciato di vita, che è unico e prezioso perchè è solo tuo. Vera entra puntuale in casa mia. Nello sgabuzzino ci sono le sue ciabatte, il suo grembiule. Vera, ci facciamo un caffè? Un caffè, poi comincio a lavorare. E’ silenziosa. Anche quando piange, e piange spesso, lo fa piano piano. Pigola, in camera, mentre spolvera il comò, mentre sbatte il tappeto. Ha paura che il suo dolore provochi rumore, che arrechi disturbo. Mia figlia mi guarda: mamma, Vera piange ancora. Vera ha sentito l’ultima volta i suoi bambini due settimane fa. Una telefonata gracchiante di pochi minuti. Sono sempre pochi minuti – per risparmiare. Non bastano ad alleviare il timore – terribile – che abbiano perso memoria del suo viso. Mi parla del suo paesino; del marito che una volta faceva il falegname, che da anni non lavora più e che dopo aver perso il lavoro ha perso anche l’amore per lei. Mi parla del padre, che tanto tempo fa possedeva un po’ di terra ed era stimato e riverito per quella ricchezza rurale; mi racconta della povertà che costringe le giovani donne a partire per consentire ai bambini di crescere e agli anziani di morire dignitosamente. La guerra con la miseria capovolge tutto. Dice: gli uomini restano, per noi è più facile trovare un lavoro come serve. Serva: si definisce così, spietatamente. Le hanno dato un po’ di farmaci per tenere a bada la malinconia. Lei dice che più di ogni altra cosa desidera una carezza, un gesto d’amore. Ieri mi ha portato un dolce tipico del suo Paese. Lo ha preparato nella cucina del pensionato dove vive. Lo abbiamo spiluccato insieme. Mi ha detto che ai suoi figli piace molto, che quando lo mette nel forno è sempre un momento di festa. Usava il tempo presente, quello della quotidianità. La storia di Vera è unica anche se non lo è.
Dedichiamola a Bossi e a Fini (csf)
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