da Primo Casalini, Monza Erano i primi giorni di settembre di diversi anni fa. Nella pensione in val Gardena eravamo rimasti in due coppie: i temporali di fine agosto avevano fatto scappare tutti gli altri. Con l’altra coppia non ci conoscevamo, ma inevitabilmente cominciammo a parlare, anche perchè stavamo non bene, ma benissimo, coccolati dall’ostessa ladina che ci trattava come i cugini del Sud. Lui faceva l’allevatore di maiali nel reggiano, lei seguiva l’amministrazione. Bella coppia: si capiva che si volevano bene e che tutte le sere non si addormentavano subito appena a letto. Dagli occhi, si capiva. Lui si mise a parlare del suo lavoro. Quando uno ama veramente il suo lavoro, è interessantissimo sentirlo parlare. A un certo punto disse: “Perchè vede, quando un maiale si ammala…”, ed io: “Ma come fa ad accorgersi che un maiale è ammalato fra le altre centinaia?” “Semplice, gli altri gli saltano addosso”. Sì, probabilmente c’erano, migliaia di anni fa, branchi di maiali che non facevano così: solo che si sono tutti estinti. E magari, chissà, l’uomo di Neanderthal porgeva l’altra guancia; ma anche lui non c’è più. Nel nostro cervello c’è la nostra storia evolutiva. Non possiamo amputare le parti arcaiche, il cervello del rettile, il comesichiama. Peggio, non possiamo far finta che non ci sia. Io cerco di guardarlo, il nazista che in me (non uso le virgolette, se parlassi di voi le userei…). Se ne sta lì, accucciato; a volte mi è pure utile, se debbo farmi rispettare. Ma in genere è un fanigottun, proprio perchè lo guardo, lo “vedo”. Buon Natale.
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