da Filippo Facci
Uno dice: buon natale. Lo dice come sostitutivo del saluto consueto, come rafforzativo, lo dice perché è educato, perché è conformista, lo dice perché neanche ci pensa, perché ha un lavoro e una famiglia, lo dice perché il non dirlo sarebbe complicato: resta che lo dice. Resta tuttavia l’intoccabile diritto di poter segretamente seguitare, il natale, a disprezzarlo: un diritto sacrosanto quanto inutile. Se il natale è retorica, infatti, l¹odio per il natale appartiene alla retorica dell¹antiretorica: è un fulgore adolescenziale, un rifugio per asociali, un¹originalismo da vecchi capelloni, discorsi da tram. Più banale del natale c¹è solo il detestarlo. E¹ anche per questo che anno dopo anno ci siamo arresi: di colpo è natale (a novembre, ormai) è vabbè, ci risiamo, venghino i parenti e le smancerie, i cenoni interminabili che sei ingrassato prima di sederti, bambini ovunque, telecamerine sparate in faccia, regali obbligati e non sentiti, la fiera del riciclo, le strade intasate, le luminarie, il pino da supermercato, anzi no, meglio il presepe, il panettone da nove chili, anzi no, meglio il pandoro, oddio: non abbiamo preso niente per quel cretino di Piergiorgio. La somma di questi doveri militari è così narcotizzante da farti dimenticare quanto il natale sia oggettivamente assurdo: non esiste un¹altra ricorrenza così abnorme e al tempo stesso così sganciata dalla tradizione che l¹ha originata. Forse, con il capodanno, è solamente la prima vera festa globalizzata, la festa per la festa: e va benissimo. Se anche un solo essere umano fosse davvero più sereno perché esiste il natale – se anche un solo essere umano riuscisse a essere realmente più buono ben venga: evviva. Ma allora tanto vale. Ma allora hanno ragione quei bambini che ti chiedono perché non è sempre natale. Ma allora e ci rendiamo perfettamente conto delle banalità che stiamo scrivendo, ma chi se ne frega, è natale – una festa vale davvero come un¹altra. La colomba, per esempio, è un dolce buonissimo.
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