Nella polemica fra i due amici, Claudio Sabelli Fioretti e Massimo Fini, interviene sempre sul Fatto Quotidiano, Giovanni Valentini. Il Ponte sullo Stretto di Messina, almeno per ora, non unisce ma divide. Ecco il pezzo di Valentini.
È quasi commovente, a distanza di tanti anni, ritrovare su queste pagine due amici e colleghi come Massimo Fini e Claudio Sabelli Fioretti intenti a dissertare su una vexata quaestio come il Ponte sullo Stretto di Messina. Commovente e ammirevole per la passione, al limite del candore o dell’ingenuità, con cui affrontano la materia. Ma anche per il fatto che entrambi, rimuginando su argomentazioni d’antan, hanno nello stesso tempo torto e ragione. Torto nell’attaccare o difendere il progetto; ragione nell’usare motivazioni che sono state ampiamente sviscerate nell’ultimo mezzo secolo da una parte e dall’altra, favorevoli e contrari.Questo è sempre stato il Ponte della Discordia. Un sogno per alcuni, un incubo per tanti altri. E forse proprio per questo il progetto è rimasto finora sulla carta, mentre le pagine del dossier ingiallivano negli archivi parlamentari e ministeriali. Una storia infinita che ricorda quella raccontata con ironia da Andrea Camilleri nel suo romanzo epistolare La concessione del telefono, ambientato nella Sicilia di fine Ottocento.Ecco, il rischio sismico; la questione ambientale; il degrado delle coste; l’alternativa dei traghetti; le resistenze psicologiche; e naturalmente la mafia, il “regalo alla mafia”, per finire in crescendo con il “dio denaro”. Senza trascurare, com’è d’obbligo, la differenza escatologica fra il miraggio dello “sviluppo” e le suggestioni del “progresso”, alla maniera di Pier Paolo Pasolini.È stato già scritto tutto e il contrario di tutto, negli ultimi cinquant’anni, da quando il 17 dicembre 1971 fu varata una legge per il “Collegamento viario e ferroviario fra la Sicilia e il continente”. Per arrivare al parere favorevole con cui il Consiglio superiore dei lavori pubblici approvò il controverso progetto nell’ottobre del ’97. Ora Fini sceglie il momento giusto per riparlarne, “con l’avvento della destra-destra-destra” al governo e “sulla spinta di Forza Italia”, il partito-azienda guidato da un anziano tycoon che faceva affari con il Partito socialista di Bettino Craxi e intratteneva rapporti con Cosa Nostra, come documentano le carte del processo sulla trattativa Stato-mafia. Ma ha ragione Sabelli Fioretti a replicare: “Cerchiamo di combattere la mafia, ma senza affossare ciò che può essere d’aiuto all’uomo”.Suscitò un vespaio di polemiche un mio articolo intitolato “Quel Ponte della discordia bloccato dall’immobilismo”, pubblicato in prima pagina su Repubblica il 24 febbraio 1998. E mancò poco che mi accusassero di essere mafioso. Eppure, in quel pezzo avevo esaminato i pro e i contro, nel tentativo di superare i pregiudizi e le diffidenze reciproche. Fino a polemizzare anche con i Verdi e con la Cgil di un galantuomo come Sergio Cofferati.Nella dialettica manichea che spesso alimenta il confronto nel nostro sventurato Paese, l’opinione pubblica si divise in Guelfi e Ghibellini, favorevoli e contrari, come due tifoserie sugli spalti di uno stadio di calcio. E infatti, la mia replica una decina di giorni dopo s’intitolava “Buoni e cattivi tra Scilla e Cariddi”: dove i nemici del Ponte erano i buoni e tutti gli altri i cattivi. Quella che veniva evocata come “l’ottava meraviglia del mondo” si arenò così nelle sabbie mobili della politica nazionale.Nel suo articolo, Sabelli Fioretti ricorda che in Giappone, un territorio ad alto rischio sismico, il ponte Akasshi Kaikyo è lungo quattro chilometri e molti altri sono più lunghi di quello sullo Stretto. In un Paese “normale”, si aprirebbe un dibattito pubblico sui costi e benefici del progetto, sulla base di dati certi e pareri tecnici, piuttosto che sotto gli impulsi o le imposizioni governative. Ma il nostro, com’è noto, non è un Paese normale. E questo continuerà, a essere, chissà ancora per quanto tempo, il Ponte della Discordia.
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Ogni volta che viene pubblicato un articolo di Massimo Fini sul Fatto Quotidiano corro a leggerlo. Perché quasi sempre scrive cose che avrei voluto scrivere io e le scrive meglio di me. Perché Massimo Fini, lo sanno tutti, è bravissimo e non è mai scontato. Ma domenica ho letto il suo intervento sul Ponte sullo Stretto di Messina e mi sono detto: eccheccavolo, come si possono scrivere cose così generiche, errate e piene di luoghi comuni?
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Anzi meglio ancora ecco il testo integrale.
Ogni volta che viene pubblicato un articolo di Massimo Fini sul Fatto Quotidiano corro a leggerlo. Perché quasi sempre scrive cose che avrei voluto scrivere io e le scrive meglio di me. Perché Massimo Fini, lo sanno tutti, è bravissimo e non è mai scontato. Ma domenica ho letto il suo intervento sul Ponte sullo Stretto di Messina e mi sono detto: eccheccavolo, come si possono scrivere cose così generiche, errate e piene di luoghi comuni?Sul Ponte sullo Stretto di Messina, caro Massimo, mi hai deluso.Primo argomento di Fini: non si costruisce un ponte in un territorio ad alto rischio sismico, dove un secolo fa ci fu un terremoto che causò 120 mila morti. Dice Fini che non bisogna dare retta a coloro che assicurano che saranno usate tecniche antisismiche raffinatissime. Dice che un ponte così grande non può reggere un terremoto di una qualche intensità.Non è vero. In Giappone, dove convivono con terremoti molto più intensi e frequenti dei nostri, ci sono tantissimi ponti che collegano le varie isole e che sono molto più lunghi del Ponte sullo Stretto di Messina. Il ponte Akasshi Kaikyo è lungo quattro chilometri. Collega la città di Kobe all’isola di Awaji.Iniziato a costruire nel 1988, le sue due torri resistettero al terremoto di Kobe, che colpì la zona con una intensità di 6,8 gradi Richter e fece 6 mila vittime. I lavori ripresero dopo un mese. Fu inaugurato nel 1998. Allora era il ponte sospeso più lungo del mondo.Dice Fini: “Poi ci sono gli imprevedibili che sempre assediano l’umano”. Ma gli imprevedibili per definizione non possono essere previsti. Per esempio, non si può prevedere che un meteorite possa distruggere lo Stadio Olimpico durante un derby Roma-Lazio. Che facciamo, vietiamo il calcio?Dice Fini, inesorabile: il Ponte Morandi fu costruito con tecniche avanzatissime. Ma la corrosione della salsedine lo ha fatto precipitare all’improvviso. Non è vero, non diamo la colpa alla salsedine, altrimenti tutti i ponti costruiti sul mare sarebbero crollati da tempo. La colpa è di chi doveva occuparsi della manutenzione e dei controlli e non l’ha fatto.E poi c’è la questione ambientale. Dice Fini che il Ponte potrebbe distruggere le coste come succede quando si costruisce un porto. È vero. Che facciamo? Blocchiamo tutto? O magari cerchiamo di usare tecniche più oculate, attente e meno invasive? E meno male che Fini non usa il vecchio argomento degli ambientalisti, secondo il quale il ponte e i piloni disturberebbero i viaggi degli uccelli migratori.Però usa un argomento che è anche peggio. “Il Ponte non serve né ai siciliani né ai calabresi perché per arrivare alla sua altezza ci vuole più tempo che per imbarcarsi sul traghetto”. Massimo, questo non è vero. Sembra che tu non sia mai andato in Sicilia oppure non ti sia accorto di quanto tempo ci vuole per fare attraversare lo Stretto ai treni. E quanto tempo le auto passano in fila in attesa dell’imbarco.Infine, o quasi. Dice Fini: “Ci sono anche delle resistenze psicologiche: noi siamo abituati ad avere di fronte un’isola dicono i calabresi, noi un continente replicano i siciliani” E qui un gigantesco chissenefrega si innalza dall’aere. E comunque, una sciocchezza del genere io non l’ho mai ascoltata. E io abito in Sicilia.Per concludere l’argomento principe: la mafia. Il Ponte farà arricchire la mafia. La mafia arricchisce anche adesso che il Ponte non c’è. Arricchisce con le costruzioni, per esempio. Ma nessuno si sogna di proporre il divieto di palazzina. Arricchisce sfruttando gli operai. Vietiamo alla gente di lavorare? Cerchiamo di combattere la mafia, ma senza affossare ciò che può essere di aiuto all’uomo.Massimo, io ti ho sempre seguito nei tuoi ragionamenti contro lo sviluppo sfrenato. Ma i ponti non me li devi toccare. I ponti sono un simbolo di comunicazione, di popoli che si incontrano, di civiltà che si contaminano. I ponti sono come la lingua, come la musica, come la scrittura. I ponti sono il passato, il presente e il futuro dell’uomo. Ti prego, Massimo, non ti opporre al Ponte sullo Stretto.Caro Claudio, non posso dimenticare la tua mirabile intervista, puntuale, precisa o quasi, ironica e con qualche giusta punzecchiatura, che mi hai fatto per il tuo libro Voltagabbana da cui risulta che nella mia vita io sono stato tutto (sex drugs and rock n roll) fuorché un “voltagabbana”. Né posso dimenticare le benevoli recensioni che hai fatto ad alcuni miei libri, né la rubrica su Cuore, da te diretto, che suscitò una mezza rivoluzione fra i tuoi redattori che mi consideravano ‘fascista’ e alla quale tu tenesti botta. Sono sempre stato coerente, coerente con me stesso. Una volta Paolo Liguori in non so più quale circostanza, disse che la mia era “una coerenza cretina”. Probabilmente ha ragione, ma trovo curioso che si volti la gabbana sempre a favore dei vincitori di giornata. Il “quasi” si riferisce a Claudio Martelli. Io gli sono stato amico solo nella disgrazia, mai nella fortuna. In questo seguo Fabrizio De André quando in Amico fragile canta: “Potevo barattare la mia chitarra e il suo elmo con una scatola di legno che dicesse: perderemo”.Le tue considerazioni sul Ponte di Messina appaiono argomentate in modo solido, però in chiusura di questa breve risposta ti devo ficcare, da buon scorpione qual sono, un pungiglione nel didietro. Tanti anni fa, portando in macchina tuo padre, non mi ricordo dove, lui mi disse: “Claudio è troppo interessato al denaro”. E il Ponte di Messina è solo e soltanto denaro.Affettuosamente.