Per i figli non siamo altro che ricordi, profumi, a volte dolci, a volte salati, a volte leggeri, a volte aspri.

É dal primo lockdown che non faccio più l’impasto palestinese per pane, pizze e focacce. Poi, all’improvviso, ricevo una telefonata come nei film di spionaggio degli anni ’70: “Papà, domani facciamo festa in reparto, ci siamo vaccinati tutti; ci vuole qualcosa di speciale!”. Smetto immediatamente ogni faccenda e indosso il grembiule delle missioni impossibili:

1 kg farina 00 di grano tenero;

1 confezione di lievito di birra;

1/2 bicchiere di latte tiepido;

1/2 bicchiere di olio di arachidi;

1/2 cucchiaino di zucchero;

1 cucchiaino di sale.

Mescolare bene e ogni tanto aggiungere un po’ di acqua tiepida finché non si ottiene un impasto perfetto, né troppo solido né troppo molle. Coprire il composto e lasciarlo dormire lontano da correnti d’aria, perché il pane è come la vita, come l’amore: se li lasci in balia delle correnti si offendono e si seccano di brutto.

Al risveglio, dopo almeno un paio d’ore, date un bacio al vostro partner e una carezza al vostro gatto, cane o riccio. In cucina c’è la vita che aspetta e non resta che ingegnarsi: si possono fare pane, focaccia palestinese, focaccia con uova, focaccia con zit e zahtar o la classica pizza palestinese.

Per i figli non siamo altro che agenti segreti dormienti e prima o poi arriva uno squillo improvviso per una nuova missione.