Ti trovi al volante della tua auto e circoli ad una velocità costante. Alla tua destra c’è un precipizio. Alla tua sinistra un camion dei pompieri che viaggia esattamente alla tua stessa velocità. Davanti a te corre un maiale visibilmente più grande della tua macchina. Davanti al maiale corre un uccello grande quanto il maiale che, ovviamente, corre alla stessa velocità del maiale. Dietro di te, invece, segue un elicottero che vola raso terra. Gli ultimi due, sono due cavalli che trainano un calesse, anch’essi alla tua stessa velocità. RISPONDI Come fai per fermarti?
Non è poi così difficile. Comunque la risposta, da scompisciarsi dalle risate, è qua sotto:
SCENDI DALLA GIOSTRA E VAI A LAVORARE, SCANSAFATICHE!
Capitò che, dopo che avevo intervistato 500 persone, a qualcuno venne in mente di intervistare me. Lo fece Anna Tagliacarne, per Grazia. Conflitto di interessi gigantesco. Anna era stata mia redattrice a “Cuore”. L’intervista venne bella. Titolo: “Ho vinto il concorso bimbi belli”
Quando ha iniziato a scrivere, lo pagavano 100 lire a notizia. Poi ha fatto l’inviato per i maggiori quotidiani e riviste italiani. E’ stato uno strambo direttore: non a caso gli editori preferiscono che scriva. E’ passato dalla direzione di Sette (ora Magazine del Corriere della Sera) a quella di Cuore, a quella Gente Viaggi. Si è persino adagiato sulla poltrona di Padreterno (con tanto di barba bianca) a Bombay, il programma di Gianni Boncompagni su La7. Di certo, Claudio Sabelli Fioretti è il più noto tra gli intervistatori d’Italia. Con intelligenza e un’infinita faccia di bronzo ha affettato politici e giornalisti, attrici e industriali. Stavolta, però, tocca lui dire la sua.
Mai avuto voglia di strangolare un intervistato? «Sì. Alain Elkann. Ha interrotto l’intervista a metà, non ho mai capito per quale ragione. Forse per non parlare degli eredi Agnelli. Poi mi ha telefonato 37 volte chiedendo se ero incazzato. Ho fatto il signore e ho detto di no. Invece ero una iena». La persona che ti ha fatto faticare di più? «Ciriaco De Mita, per via del suo linguaggio pazzesco. Ho impiegato il doppio del tempo per tradurlo». E qual è stata la più maleducata? «Michela Brambilla. E’ arrivata con un’ora di ritardo». Il più simpatico? «Sandro Bondi. Esistono due Bondi: quello che ho conosciuto io, gentile, e quello che appare in tv, orrendo. Uno è l’imitatore dell’altro». Cos’ha fatto per stregarla? «Si è mostrato per quello che è. E mi ha fatto vedere tutto: anche il Mausoleo del Cavaliere, che abbiamo visitato Montanelli, io e forse Giorgio Bocca. Il buon Bondi non lo ammette, ma soffre perché non è previsto un loculo per lui tra quelli di Dell’Utri, Previti, Confalonieri eccetera». La persona più antipatica? «Un’attrice. Ida De Benedetto. Non voleva che l’intervista fosse pubblicata e ha chiamato persino Cesare Romiti, che a sua volta telefonò a me dicendo “Ma questa chi è?”. Ovviamente il pezzo uscì». Mai trovato in imbarazzo durante un’intervista? «Bè, sì. Con Carla Bruni. Mi raccontava che dietro le quinte quando una modella si spoglia e si riveste i sarti la toccano da tutte le parti. Per farmi capire meglio mi toccava». Carla Bruni l’ha toccata? «Sì, sono stato toccato da Carla Bruni». Dove? «In parti lecite. Le spalle. Le gambe. Il viso. La pancia. Io sono arrossito tantissimo». La sua migliore intervista? «Dicono sia l’ultima. Quella al Principe Carlo Caracciolo, sul quotidiano La Stampa. Ma non posso essere io a dirlo». Quella che non avrebbe voluto fare? «Sergio Japino. Ho dimenticato a casa le quattro cartelle di domande che avevo preparato. Il risultato è stato il vuoto pneumatico. Vuoto io, vuoto Japino. Non feci uscire nulla. Nessuno seppe mai che avevo fatto un’intervista di merda». Chi non ti si è mai concesso? «Tanti. Silvio Berlusconi, Lilli Gruber, Vincenzo Mollica, Henry John Woodcock». Avevano paura? «E’ un diritto rifiutare le interviste. Per un magistrato è più comprensibile, ma, nel caso dei colleghi, lo capisco poco. Al Cavaliere ho mandato messaggi, mail, gli ho telefonato, gli ho parlato tramite i familiari, mi sono fatto raccomandare da Bondi e da sua figlia Barbara. Deve pur aver visto che non sono un molestatore. Ma credo che preferisca parlare con giornalisti amici suoi». Il più voltagabbana dei voltagabbana? «Maurizio Bertucci, giornalista Rai. Era passato da Forza Italia all’Udeur, e mi aveva detto che era stato un grande travaglio. Un mese dopo passò dall’Udeur a Forza Italia. Doppio travaglio». Le hanno mai dato del voltagabbana? «No». Nemmeno una donna? «Le donne mi hanno sempre lasciato. Sono loro le voltagabbana». Che effetto fa interpretare il Padreterno per in tv? «Magnifico! Andavo alla posta e mi dicevano: “Qui ci vorrebbe lei per sistemare tutto”. Il bello è che mi sono immedesimato. Passavo per strada, sentivo uno che diceva la parola Padreterno, e mi voltavo». Perché l’ha fatto? «Narcisismo puro». Il più grande errore di valutazione su una persona? «Walter Veltroni. Pensavo che rappresentasse l’ala buonista della sinistra. Invece è perfido». E’ stato definito impertinente, schietto, anticonformista, inaffidabile per gli editori, un po’ scentrato: in quale di queste definizioni si ritrova? «Schietto no. Anticonformista forse, in mezzo a tanti conformisti. Impertinente no. Inaffidabile per gli editori, in parte sì. Un po’ scentrato? Questo è vero». Prima le hanno detto: “Sei il Dna del giornale”. Poco dopo non scriveva più sul “Magazine” del Corriere. «Forse stato l’unico caso in cui il Dna se ne è andato dal corpo e il corpo se n’è fottuto. Gli editori sono così». Il primo voto? «A scuola ero DC, in quanto chierichetto di Cristo Re. Ma per diventare ateo il primo passo è proprio quello. Il primissimo voto fu liberale. La conversione avvenne nel ’68, quando arrivai a Milano, dove sono diventato un pericoloso comunista». Poi è sempre stato di sinistra? «Sì. Anche se, quando mi sposai per la prima volta, con Francesca, che era liberale, facemmo una media. Lei non votò liberale e io non votai comunista. Tutti e due Pri. Che vergogna». E poi? «Sempre sinistra del Psi. Da Lotta Continua, al Pdup, al Manifesto a paccottiglia varia». Lei ha detto che è più divertente intervistare quelli di destra, perché? «Quelli di sinistra sono sempre tutti corretti e perfettini. Quelli di destra sono cialtroni, pieni di complessi, Pur di apparire dicono di tutto». Com’era da bambino? «Bellissimo. Avevo i riccioli e mia mamma era orgogliosa perché, a quattro anni, vinsi il concorso “Bimbi Belli” di Riccione». Era buono? «Buonissimo. Ma, se facevo qualcosa, mia madre picchiava mia sorella, che, per questo, ancora ce l’ha con me». Adesso, almeno, è un uomo maturo? «Sì, ma da poco». Ci soffre? «No. Maturo non significa prudente». E che vuol dire? «Vedere bene le cose. Per esempio, guadagnare la metà e fare un anno sabbatico». Facciamo il gioco della torre, come nelle sue interviste. Butterebbe Paolo Mieli o Eugenio Scalfari? «Scalfari». Perché? «Quando mi accorsi di aver sbagliato, lasciando La Repubblica, telefonai a Gianluigi Melega e gli dissi: “Torno in ginocchio con il capo cosparso di cenere”. Lui andò da Scalfari, sentii i suoi passi in diretta. Tornò e riferì: “Neanche morto”. E io neanche morto tornerei in un giornale diretto da lui». Preferirebbe diventare molto ricco o molto bello? «Sono già molto bello. Non mi resta che molto ricco».
da Gianni Guasto
(grazie ad Antonella Giunta)
Quando avete avuto un episodio di vomito e siete ricorsi al Plasil in siringa senza chiedervi che principio attivo fosse, né a cosa servisse, ma pretendevate di averlo senza ricetta perché “mia zia quando vomita prende sempre questo”.
Quando avete sentito pizzicare la gola e avete preso un Augmentin perché “una volta l’ho preso e mi è passato subito”
Quando avete avuto la cistite e siete corsi in farmacia a prendere il Monuril perché “il mese scorso mi è successo di nuovo e con il Monuril ho risolto”.
Quando prendete 4 o 5 Tachipirina da 1000mg perché “eh ma la febbre non scende”.
Quando prendete il Pantorc perché “ho mal di stomaco”.
Quando pretendete di avere Xanax perché “la mia amica lo usa per dormire”
Quando chiedete il Toradol perché “se ho un dolore prendo sempre questo e mi passa”
Quando siete corsi disperati in farmacia a fare scorte di Vitamina C, di Plaquenil, di Zitromax, di lattoferrina, di Clexane perché in TV hanno detto che curano il Covid.
Potrei continuare all’infinito, ma non vi siete mai chiesti cosa sono tutte queste scatoline colorate, a cosa servono realmente, perché si usano, gli effetti collaterali che potrebbero avere, le conseguenze nel lungo periodo, ecc ecc.
Ve li ha consigliati l’amica, li avete visti a casa di vostra zia, ne ha parlato Barbara D’Urso… Tutta gente senza un minimo di competenza scientifica.
Poi un team mondiale di ricercatori studia e sperimenta un vaccino per una pandemia globale, ma “io non me lo faccio perché chissà cosa c’è dentro”
Ci scriveva allegro e scanzonato. Era uno di noi. Non perdeva occasione per prendermi in giro. Io non sapevo niente di lui. Non sapevo che da quando aveva 12 anni gli era stata diagnosticata una malattia terribile. Non sapevo che era immobilizzato in un letto, che non poteva muovere nulla, che respirava grazie alla tracheotomia, che tutto quello che faceva lo faceva grazie a sua moglie, Mina. Poi, pian piano, ovviamente, cominciai a capire. Sentite che cosa scriveva Mina: “Gli piaceva prendere in giro Claudio che ancora non sapeva del suo stato fisico. Ricordo vagamente che Claudio lo aveva invitato a Salina. Naturalmente, mi pare, Piero aveva trovato una scusa. Si inventava ricette gustose e vi abbinava preziosi vini. Raccontava delle balle tremende su cosa mangiasse e quali vini bevesse. Povero Piero, davvero, erano anni che non poteva più mangiare nemmeno le cose più semplici”. Piergiorgio Welby divenne un caso nazionale. Non ce la faceva più, voleva staccare la spina. Ma non glielo consentivano. Scrisse ai direttori di tutti i giornali. Scrisse al presidente della Repubblica. Giorgio Napolitano. Divenne una bandiera di tutti quelli che pensavano che ognuno avesse il diritto di disporre della propria vita. Scrisse un libro, “Lasciatemi morire”. Alla fine ottenne che un medico anestesista pietoso e coraggioso lo aiutasse. Era il 20 dicembre 2006. Una data che ricorre in questi giorni. Come ricorre la data della sua nascita, esattamente oggi, ma di 75 anni or sono. La Chiesa gli negò i funerali religiosi con una strana motivazione. “Il suo suicidio è stato concepito e realizzato con l’obbiettivo di promuovere una legge sull’eutanasia”. Cioè: prima la politica e poi il vangelo. Piergiorgio rimase carico di umorismo fino alla fine. A chi stava organizzando la sua “dipartita” disse: “Fatelo dopo la trasmissione dei pacchi, non voglio perdermi Affari tuoi”. Sul suo sito personale, il Calibano, che sua moglie Mina continua (su sua richiesta) a mandare avanti, aveva pubblicato una divertente poesia.
Camminavi ancheggiando percorrendo il viale guardando l’andatura ho detto mica male
quando ti sei seduta ordinando un caffè vuoi vedere ho pensato che aspetta proprio me
mi sono accomodato li davanti a te dall’interno veniva il ritmo di una samba
io piano ti strusciavo la gamba con la gamba tu rimanesti altera pensai che donna in gamba
che splendida emozione che donna eccezionale tu mi dicesti attonita senta la vuol piantare
non vede che mi svita la gamba artificiale?
In questi giorni, così legati alla nascita e alla morte di Welby, ho voluto ricordarlo a vantaggio di tutti quelli che lo conobbero attraverso il nostro blog, e di coloro che non sanno nemmeno chi fosse. A loro consiglio di leggere i suoi due libri, “Lasciatemi morire” e “Ocean terminal”, e il libro di sua moglie Mina, “L’ultimo gesto d’amore”. E perché no, anche il libruccio che noi del blog gli dedicammo (“Ciao Welby”), raccogliendo tutti i post che ci aveva mandato, attaccando i politici che non gli piacevano (soprattutto Sirchia), interagendo con tutti noi, parlando di politica in maniera arguta e divertente, dibattendo sull’inconcepibile aumento del prezzo del cetriolo, e naturalmente prendendomi per il culo. Nel pieno dell’insopportabile male che lo costringeva a vegetare, mi scrisse: “Caro Claudio, capisco la tua sofferenza, stare a Salina deve essere duro”. Piero (questo era il nome con il quale lo chiamavano gli amici e sua moglie), era allegro, spiritoso, ironico, leggero. E lo è stato fino alla fine. Ci scrisse: “Celio, celio, un po’ per gioco e un po’ per non morire”.
Diciamolo: c’è anche un piccolo attimo di tensione. È quando ho la pessima idea di poggiare il mio zainetto nero contro il muro del villino di Maria Angiolillo e mi allontano. Sono proprio un deficiente. Esce il maggiordomo asiatico preoccupato e dice educatamente: «Lo zainetto. Può spostarlo?». Il maggiordomo asiatico è saggio. Fra qualche minuto arriverà il ministro degli Interni, mica bruscolini. Il maggiordomo asiatico è piccolo ma ben piazzato. Mi ricorda quel tipetto che in Goldfinger lanciava la sua bombetta, arma terribile, capace di tranciare la testa a chiunque. Per tutta la serata, dalle nove a mezzanotte il maggiordomo asiatico sarà il mio unico punto di contatto con Maria Angiolillo, vedova del mitico Angiolillo, proprietario del Tempo di Roma, quando il Tempo era un giornale famoso, autorevole, luogo di grandi firme e grandi giornalisti. Comincia così la mia prima esperienza di giornalista embedded, incastonato nel più importante rito della mondanità politico-economico-ecclesiastico- giornalistica romana, bivaccando davanti al portone che una volta al mese 35 vipponi oltrepassano per presentarsi al desco del salotto più famoso d’Italia, apparentemente per mangiare e conversare amabilmente, in realtà per recitare la parte di coloro che decidono le sorti di questo nostro angosciato Paese. Sommo officiante del rito è Umberto Pizzi, fotografo di Zagarolo, il quale insieme al fratello Mario, aspetta davanti al portone i vipponi e li blocca sui megapixel della sua Nikon. Sono quattro anni che Pizzi partecipa a questa sceneggiata. Qualcuno a volte protesta ma i più lo considerano parte del programma. Romiti, Fini, Prestigiacomo, Rossella, Calabrese, Tatò, Raule, Gasparri, D’Urso, Scajola, Andreotti, Bongiorno, Del Noce, Pera, Buonamici: la Roma che conta, una volta al mese, si attovaglia, come direbbe Dagospia, attorno ai tre tavoli da dodici dell’anfitriona Angiolillo. Ma prima e dopo la cena, come fosse un antibiotico, si beccano il Pizzi.
Ed io sono con lui, stasera, tra la sorpresa degli illustri invitati. Mentre li aspettiamo (arriveranno, alla spicciolata, scendendo una ventina di gradini, a partire dalle nove), Umberto mi spiega qualche particolare del rito. Le donne arrivano quasi sempre per prime, spesso single, elegantissime. Gianni Letta è solito arrivare per ultimo. Solo a lui è consentito il ritardo, gli altri vengono sgridati. Lui, Francesco Caltagirone e Sandra Carraro ci sono praticamente sempre. Abbonati. I cuochi arrivano da fuori. Davanti al portone staziona un maresciallo in pensione a garantire l’ordine pubblico. Gli invitati vengono preceduti quasi sempre dal fioraio che porta tre composizioni floreali per il centro tavola. Ma come fai, dannato Pizzi, a sapere sempre la data della cena?
«Questi sono segreti professionali», spiega il Robert Capa della Ciociaria. «Maria ci patisce. Non è mai riuscita a scoprire la spia. A volte è l’argomento principale della conversazione». Una volta, durante una cena a metà fra un’autocoscienza e una simpatica serata nei sotterranei della Stasi, misero in mezzo il povero Mario D’Urso, convinti che la talpa fosse lui. E lui se la prese con Pizzi. «Ma io non cederò mai. L’ho detto anche a Maria: te lo dirò quando andrò in pensione chi è la spia». L’occhio vigile di Umberto si agita. La Nikon freme. Arrivano. Non sono nemmeno le nove. È Ademaro Lanzara, vicepresidente della Bnl. Deve parlare con Maria e si ritaglia una decina di minuti. Ma prima spiega a Pizzi: «Stasera poca gente e poche donne». Alle 21 in punto arriva l’«antipatico» Maurizio Belpietro, direttore del Giornale. Si meraviglia di vedermi. A tutti darò la stessa spiegazione alla quale gentilmente faranno finta di credere: «Sto scrivendo un libro su Pizzi». Arriva Consolo, l’avvocato di An. Mi guarda perplesso e poi si ricorda che l’ho intervistato qualche anno fa. Poi Sandra Carraro, Francesco Caltagirone, Antonio Polito. Un momento di imbarazzo. Tre turisti di Germania, dio stramaledica i tedeschi, gonfi di birra, si piazzano davanti al portone di villa Angiolillo, si aprono la patta, tirano fuori l’apposito arnese e – scusate, è solo per completezza dell’informazione – pisciano. Ettolitri. Esce il maggiordomo asiatico, protesta inutilmente e poi in perfetto slang di Tor Pignattara, si esibisce in un sonoro vaffanculo. Gli arrivi si susseguono. Sempre più potenti. Vegas (sottosegretario di Tremonti), Beretta (Confindustria), Bruno Vespa e signora che passano oltre come Magnaschi, direttore dell’Ansa. Ferruccio de Bortoli, in grande spolvero di fisico e di abito. Si ferma e ci chiede: «Siete una nuova coppia?». Alle nove e venti cominciano a calare giovanotti neri con occhiali neri, vestiti neri e tubini che escono dagli orecchi. Guardie del corpo. Cinque. Preannunciano l’arrivo di Pisanu con signora. Buonasera ministro. Silenzio. Pizzi mi aggiorna: è di poche parole. La moglie di Pisanu rimane indietro. Lui la chiama: «Aiò». Un vero pastore sardo. Ecco De Bustis, Deutsche Bank. Siamo quasi al completo. Con un certo ritardo arriva Massimo Franco, notista politico del Corriere della Sera. Ultimo, come al solito, Gianni Letta. Gentilissimo, come al solito, rallenta per favorire il fotografo. Fine del primo tempo. Gossip: sembra che Magnaschi stia dicendo a Maria Angiolillo: «Ma che fai, lasci fuori della porta Sabelli Fioretti?». E lei, splendida, ineffabile: «Ma chi la conosce questa Isabella Fioretti!». E dà inizio alla cena. I magnifici diciotto si siedono attorno ad un tavolo ovale e fanno fuori paté di foie gras, faraona con farro castagne e patate, ricotta con miele, spumone di nocciola.
A destra di Maria si siede Pisanu, a sinistra Letta. Si parla di Lapo, naturalmente. Consolo lo accusa e Beretta lo difende. Pisanu anticipa che la riforma elettorale passerà alla grande. Tutti si dichiarano contrari alle quote rosa. Vegas si esibisce in tagli alla finanziaria. Sandra Carraro cerca di scoprire se qualcuno ha visto la trasmissione di Claudio Martelli e rimane delusa quando si accorge che è la sola ad essersela sorbita tutta. La serata è moscia. Finita la cena si sale in salotto. Massimo Franco monopolizza Pisanu in un salottino. In un altro salotto si forma un crocchio comandato da Vespa e Letta che hanno fatto i «padroncini» per tutta la sera. Sotto casa, seduto su un muretto, embedded a stomaco vuoto, sogno insieme a Pizzi una pizza. Mi dice: «Da un po’ di tempo il salotto si sta insinistrando». Chissà perché. «Prima veniva invitato solo Bersani. Adesso arrivano Fassino, Enrico Letta, Rutelli, Veltroni, Polito, perfino Bertinotti». È stata invitata anche la signora Ciampi, ma da sola e a pranzo. Non si vedono più Dell’Utri, Bossi, Castelli, Jannuzzi. Non devono essersi divertiti troppo. Comincia l’esodo dei supervip. Alle 23,30 esce Caltagirone e mi viene incontro. «Mi han detto che qua sotto c’era il famoso Sabelli!». Sono una persona a modo e ringrazio. Esce Pierluigi Magnaschi. Mi abbraccia e mi bacia. L’impietoso e bugiardo obbiettivo di Pizzi ci consegnerà alla storia delle coppie di fatto come sull’orlo di un appassionato french kiss. «Te ne vai con grandi notizie?», chiedo da gran furbetto. Lui è all’altezza: «L’Ansa le notizie non le trova, le porta». Escono alla spicciolata e si fermano a parlare. Mi spiega l’arguto paparazzo: «Quando entrano sono scortesi e distratti. Quando escono sono gentili e disponibili. Soprattutto se il cibo è stato cattivo e il vino buono». Arriva Consolo. Chiedo: «Chi c’è ancora dentro?» «È rimasto solo Pisanu che pontifica». Esce Bruno Vespa. «È più importante Porta a Porta o il salotto della Sora Maria?» Brunello non ha dubbi: «La mia è la Terza Camera. Questa è la Prima Camera». Via, tutti a letto presto stasera. Per qualcuno sarà una brutta nottata. Scriverà Dagospia che gli stomaci di Beretta, Belpietro, Polito e De Bustis protesteranno a lungo intasati dal paté. Io me ne vado a farmi una pizza col paparazzo di Zagarolo. Il mio stomaco embedded ringrazia.
E chi se lo dimentica più il grande Domenico Scilipoti? E pensare che stavamo per rinunciarci. Il suo assistente aveva avvertito “Un giorno da pecora” che non poteva essere puntuale per le 13,30 perché alla Camera erano previste votazioni per Napoli e la sua rumenta. In casi del genere io e Giorgio Lauro siamo sempre indecisi se mandare a monte tutto, se trovare velocemente un sostituto oppure stare al gioco e cominciare la trasmissione senza ospite in studio magari collegandoci con lui tramite cellulare documentando la sua marcia di avvicinamento in taxi. Scilipoti ci fa dire che non può assolutamente disertare la votazione, noi insistiamo e minacciamo vigliaccamente di sospendere la sua partecipazione e di non invitarlo più. Lo convinciamo e lui si precipita, tanto che arriva addirittura in anticipo. Quando lo vediamo ci è viene subito in mente Danny De Vito, sia per l’altezza, il minimo sindacale, sia per l’incredibile somiglianza del viso. Di corsa facciamo stampare una foto di Danny. Abbiamo fatto preparare dei panini e della frutta ma lui non ne mangia. Sembra una persona normale e anche simpatica. Alla dirigente che si occupa del nostro programma si presenta dicendo: “Piacere, sono Cirino Pomicino”. Appena comincia la trasmissione inizia a straparlare. Dice cose folli, senza senso e non consente interruzioni. Noi non riusciamo a dire nemmeno una parola. Figuriamoci interromperlo. Ogni tanto io e Giorgio ci guardiamo disperati. Ci sta distruggendo il programma. Poi, piano piano ci rendiamo entrambi conto, e ce lo comunichiamo tramite sguardi di intesa, che invece il folle Scilipoti sta creando un evento e noi possiamo approfittarne per creare una pagina di grande radiofonia. E di incredibile politica. L’impossibilità di realizzare una qualsiasi forma di collaborazione è evidente. Di porgli domande, neanche a parlarne. Lui continua ad urlare come un invasato e noi a tentare di arginarlo pur sapendo che è impossibile, inutile e addirittura controproducente. Io mi accascio sulla poltroncina, Giorgio lo minaccia di dargli una testata come Zidane a Materazzi. Lui parla con un inesistente Pasquale chiedendogli di portargli casse di Coca-Cola. Dall’altra parte del vetro il suo assistente ride come un matto. L’unica maniera per fermarlo è chiamare la musica. Lo facciamo. E durante la pausa, mentre si ascolta la canzone, Scilipoti se ne sta zitto o parla normalmente, di politica, di agopuntura, di musicoterapia. Poi torniamo in onda riparte la folle sarabanda. Non si ferma davanti a nulla. Io gli dò del matto. Niente. Giorgio gli fa vento con un improvvisato ventaglio. Niente. Io lo spruzzo con l’acqua minerale. Ma niente da fare. Scilipoti si alza improvvisamente in piedi, con le mani in alto. Poi si ributta sulla sedia. Comincia una filippica contro chi lo ha criticato, contro Di Pietro, contro Annozero, contro la Repubblica, contro il Pd. Urla: “Mascalzoni!”. E’ tutto rosso in volto. Temiamo seriamente un malore. Lui non fa parlare nemmeno gli ospiti telefonici. Saverio Romano, deputato come lui, lo invita alla calma ma lui niente. Nemmeno Lina Sotis, con la sua voce imperturbabile, riesce a frenare l’eruzione. Lui la prende in giro. “Lina, Linuccia, Sitos, Setas, Sotis”. Ci colleghiamo con Gian Antonio Stella. Scilipoti ignora le domande di Stella e continua peggio di uno tsunami. “Stella, Stellina, Stella Cadente”. Riesco ad infilarmi nella tempesta: “Gian Antonio abbi pazienza”. Gian Antonio capisce ed ha pazienza. Negli intervalli Alice, la nostra assistente, lo fotografa con la foto di Danny De Vito accanto (incredibile la somiglianza). Lui sorseggia una Coca Cola. Durante la pausa dell’ultima canzone cerchiamo di concordare qualche argomento con cui chiudere la trasmissione. Giorgio ottiene una specie di armistizio. Parleremo delle accuse di Barbareschi, di Annozero e lo faremo giurare di non essere stato pagato per cambiare il suo voto. Lui insulta Barbareschi, insulta quelli di Annozero e giura solennemente. Ma poi ricomincia la valanga di insensatezze. Interviene il Divino Otelma e Scilipoti incredibilmente lo fa parlare. Tra matti si capiscono. Il Divino gli dice che lui il tradimento ce l’ha nel Dna, quindi tradirà anche Berlusconi. Questo interrompe per un attimo il fiume in piena ma poi è di nuovo esondazione. Riusciamo a malapena a prendere la parola per chiudere la trasmissione. Lui si calma. Facciamo le foto di prammatica con la grossa pecora di peluche. Lui dice: “Me la regalate?” Io ringhio: “No!”. Ormai sembra una persona normale. Sorride felice mentre sulla chat della trasmissione arrivano centinaia di interventi. Sorpresa, indignazione, insulti. Lui prende i gadget e se ne va sereno. Le agenzie cominciano a battere take su take. Fra un po’ i tg manderanno in onda la sua splendida performance. Telefono a Gian Antonio Stella per scusarmi. Lui ride come un matto e sta già scrivendo il pezzo su Scilipoti. Mi chiede: “Era ubriaco?” Gli confermo di no. Non era ubriaco, era Scilipoti, l’uomo che ha salvato Berlusconi. Sei foto dell’Unità in prima pagina, una paginata intera del Corriere della Sera, agenzie internazionali, giornali americani. “Un giorno da pecora” nel mondo. Entriamo alla grande nel panorama della politica italiana. Non ci crediamo nemmeno noi. Abbiamo scritto una grande pagina di storia della politica italiana. Roba da andarne orgogliosi?
da Barbara Melotti
Caro Claudio, quanti di quei ricordi ho condiviso! Il mio migliore fu scoprire di condividere con il grande Gianni Guasto i miei 2 feticci televisivi di allora, La Squadra e l’NCIS.
da Luca Di Ciaccio
Mi hai fatto commuovere!
Dillo a me!(csf)
da Muin Masri
Caro vecchio mio, forse non te l’ho mai detto, forse non ce n’era bisogno, ma per me il tuo blog è stato una sorta di LSD dell’aspetto umano. Vi ho trovato un concentrato di intelletto, simpatia, esperienze, autoironia e, perché no, cazzate pazzesche. Era difficile non farne uso ogni mattina, sbirciare quei 5 minuti prima di iniziare la giornata lavorativa, mi sembrava così di aumentare la creatività e l’autostima. Ti faceva capire che la realtà non è qualcosa di fisso, che ogni giorno era una possibile realtà. Qui ho imparato tante cose e ho conosciuto delle persone fuori dall’ordinario. Poi, insomma, c’eri tu come padrone di casa, un po’ sapientone, un po’ vanitoso, un po’ inquieto, un po’ pentito, un po’ nostalgico, un po’ giusto, un po’ anziano, un po’ fanciullo, un po’ severo, un po’ giornalista, un po’ storico, un po’ politico, un po’ socialista, un po’ italiano perso… un po’ di tutto, ma, come gli antichi greci, avevi il senso della misura. Mi piacevi quando correggevi alcuni miei post prima di pubblicarli, forse lo facevi per proteggermi o forse per tenere alto il livello del blog. Ti odiavo quando mi cestinavi alcuni post, forse lo facevi per proteggermi o forse per tenere alto il livello della discussione. Caro vecchio mio, scoprire il tuo blog è stata un’esperienza incredibile e profonda, quasi mistica. E come diceva Roger Waters “Se prendi LSD quello che provi dipende interamente da chi sei”.
Caro Muin, vado un attimo in bagno a piangere. Torno subito. (csf)
Vi ricordate i vecchi tempi? Che nostalgia. Il blog d’antan. Quello in cui tanta gente si raccoglieva intorno ad un pazzo, o ad un gruppo di pazzi, e tutti i santi giorni si scriveva, si scambiavano opinioni, esperienze, idee. Che meraviglia. Io non ricordo nemmeno quando iniziammo. Ricordo solo che mi inventai il blog perché vidi che dal 1999 lo stava facendo Barbara Palombelli. E mi piaceva. E mi faceva rabbia. L’archivio nel nostro blog risale al settembre del 2001, venti anni fa. In questi giorni mi sono precipitato come un archeologo a cercare il primo post pubblicato. Ma niente da fare. Introvabile. Poi ho scoperto che tutto risale grosso modo all’agosto dello stesso anno quando aiutato da Luca Di Ciaccio e da Barbara Melotti riuscii a mettere su l’impresa. Il post più vecchio che ho trovato riguardava il diabete che io allora non sapevo ancora di avere. Eravamo pochi all’inizio ma pian piano raggiungemmo quote impensabili per allora. Trentamila frequentatori al mese con uno zoccolo duro che si aggirava sui 200 amici. Scrivemmo anche un libro (“La mia vita è come un blog”) con il quale non riuscii a vincere il Nobel . Ma scorro i nomi e quasi mi viene da piangere. Primo Casalini, come un padre putativo. Silvia Palombi, la rossa. L’avv. Lina Arena, che aveva un solo scopo nella sua vita, dire che io non avevo capito niente di niente. Aldo Abuaf che aveva una moglie nera ma proprio non ce la faceva a non essere razzista. La suora missionaria in Africa della quale mi ero perdutamente innamorato prima di scoprire che era uno scherzo. E poi Giselda Papitto che si ergeva a difensora del movimento neneista (non conoscete il neneismo? Vogliamo farci del male?), Gianni Guasto, il nostro infiltrato nella Sanità, ma quella di sinistra, Pino Granata, il ras del mondo della fotografia. Al nostro blog scrivevano anche colleghi giornalisti come Valeria Gandus, Toni Capuozzo, Filippo Facci, Mattia Feltri, Bianca Stancanelli, Nunzia Penelope, Santi Ursu, Christian Rocca, Peter Freeman. Oppure cantanti (Baccini, Tito Schipa jr), scrittori (Pennachi). Ci scriveva soprattutto Piergiorgio Welby che, mandandoci un post dietro l’altro, uno mi divertente dell’altro, visse nella nostra ideale comunità gli ultimi anni tremendi della sua vita prima di riuscire a farsi concedere la dolce morte.
Tutti leggevano attentamente quello che ogni giorno scrivevo e poi intervenivano, quasi sempre per dire che non capivo un belino. Però nel trattarmi male ognuno aveva le sue idee e litigavano non sul perché (trattarmi male era scontato) ma sul come (dibattito vivace). Spesso ci vedevamo, organizzavamo degli incontri, qualcuno veniva a trovarmi in montagna (ricordo Silvia, Muin Masri, Ceratti, ma ne dimentico molti), oppure ci davamo appuntamento ai grandi appuntamenti di piazza San Giovanni. Tutto questo è praticamente finito. Dove siete finiti Paola Ragone, Isabella Guarini, Matteo Tassinari, Pier Franco Schiavone, Vittorio Grondona, Francesca Nardi, Federica Pirrone, in quale meandro degli inutili e scostumati social vi siete infilati.
Dove sia finito Domenico Di Franco, Mimmo, lo so. E’ qui, abita in Trentino, in un paese vicino al mio.