Il Vaticano è nei guai. Ma è interessante vedere come sia difficile per gli alti prelati difendersi. Qualsiasi cosa facciano si imbattono in una contraddizione. Per esempio la trasparenza. Per esempio il caso Gotti Tedeschi che è stato presidente dello IOR fino al maggio scorso. Il suo compito era quello di portare un po’ di ordine e di legalità in una banca sconvolta da scandali e sospetti. Solo che ha un poco esagerato, è stato un po’ troppo zelante e il consiglio di sovrintendenza quando ha visto che Gotti Tedeschi era disposto a collaborare con i giudici italiani che indagavano su conti sospetti, capitali sospetti depositati nella banca vaticana da tipi sospetti, lo hanno licenziato. Solo che il diavolo, che in Vaticano gode come un pazzo, ha fatto uno scherzato. Ha mandato i giudici che lavorano nell’ambito dell’inchiesta Finmeccanica a casa di Gotti Tedeschi a cercare documenti. E di documenti ne hanno trovati pure troppi. Su conti sospetti, capitali sospetti, tipi sospetti. Panico in San Pietro. In Vaticano magari sono poco interessanti ai preti pedofili ma quando gli tocchi il segreto bancario vanno in bestia e scatenano il Diluvio Universale. Ecco il tormento vaticano. La Santa sede comunica subito che “esprime fiducia che i pm rispettino il diritto sovrano, difende i vertici dello Ior e ribadisce che la destituzione di Gotti non è legata in nessun caso alla trasparenza ma a motivi oggettivi di non aver saputo svolgere il suo ruolo. Chiaro no? Non è un problema di trasparenza. La trasparenza anzi è un sano principio cui si ispirano quotidianamente tutti i cardinali, nessuno escluso. A questo punto ci si aspetterebbe una dichiarazione tipo: fate luce, presto, noi vi daremo tutto l’aiuto possibile, voi chiedete e vi sarà detto, ogni stanza vaticana è aperta agli inquirenti italiani. Dice invece l’ultimo documento vaticano: la santa sede è uno stato sovrano e i suoi funzionari e documenti godono delle conseguenti protezioni e immunità. E allora? Trasparenza si o no? Trasparenza non si sa. Uno stato fatto da preti, basato su una religione, quindi sui buoni sentimenti, sull’onestà e sul disinteresse per le cose umane che cosa ha da nascondere? E infatti, dicono i prelati: la trasparenza sta a cuore alle autorità della santa sede come allo Ior. Alla fine traspare una sola cosa. Le cose vaticane non sono trasparenti e non lo saranno mai? In fondo lo sapevamo che la religione si fonda sul mistero.
Bisogna leggere Bruni Tinti, sul Fatto, qualsiasi cosa scriva. Ieri ha scritto di immunità parlamentare. E mi ha spalancato il cervello con un ragionamento elementare e addirittura banale. Dunque, l’immunità parlamentare è quell’istituto (art. 68 della costituzione) grazie al quale il parlamento può non autorizzare l’arresto di un parlamentare, o una perquisizione a suo carico o l’intercettazione delle sue telefonate. Però, obiettivamente, non autorizzare il suo arresto, o le intercettazioni o le perquisizioni potrebbe configurare anche il favoreggiamento personale (379 codice penale) perché di fatto si traduce in un ostacolo alle indagini. Ma c’è un motivo per il quale il parlamento e i parlamentari hanno questo privilegio: il famoso “fumus persecutionis”, il sospetto che il parlamentare sia perseguito a causa della sua attività, che in sostanza qualcuno ce l’abbia con lui per motivi politici. Facile no? Bruno Tinti dice: se c’è, niente arresto ; ma se non c’è? Allora è favoreggiamento personale. Vediamo quindi il caso del senatore Sergio De Gregorio. Indagato per associazione per delinquere, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, bancarotta fraudolenta ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, i giudici avrebbero voluto arrestarlo. Alberto Balboni (Pdl) –vicepresidente della Giunta delle immunità e avvocato (dovrebbe sapere dunque di diritto) – ha detto, e scritto, che, nel caso del senatore Sergio De Gregorio non esiste pericolo di fuga, inquinamento di prove né possibilità di reiterazione del reato. Ma non era questo che la giunta doveva stabilire, perché questo era compito dei giudici. La giunta dovevo solo decidere se c’era il famoso fumus. E siccome il fumus non c’era (altrimenti l’avrebbe detto e provato) e siccome ha vietato l’arresto, di fatto intralciando i corso della giustizia, ecco che si configura il reato di favoreggiamento, a carico dei parlamentari, o per lo meno a carico dei membri della giunta, o perlomeno a carico di Alberto Balboni. “Non sarebbe una cattiva idea aprire un procedimento penale nei loro confronti”, conclude Bruno Tinti. Ma lui lo sa che invece è proprio una cattiva idea. O meglio: abbiamo dato un’altra arma a Beppe Grillo. (csf)
Conoscete quel bel giovanotto col cerchietto rosso attorno alla testa? Si chiama Paolo Gabriele, Paoletto per gli amici. La sua vita ormai è segnata, non tanto per essere l’uomo che avrebbe consegnato all’esterno le lettere destinate al papa, non tanto per essere finito per questo motivo in galera, non tanto per essere stato definito il capro espiatorio dello scandalo del Vatikanleaks quanto per essersi guadagnato per tutti questi fatti il cerchietto rosso nelle fotografie, anche quelle in cui compare da solo insieme al papa. Dida: “Paolo Gabriele, col cerchietto rosso, insieme al papa”. E meno male che c’ il cerchietto rosso altrimenti uno potrebbe confonderlo con Ratzinger. Come quando in una foto c’è un attore famoso con il suo barboncino e la dida recita: “L’attore famoso, a destra, …” Ricordo anche una famosa barzelletta. Bepi va a Roma e per uno strano scherzo del destino viene invitato dal papa a salire sulla papamobile. La scena viene mandata in mondovisione. Toni, al bar del suo paesello, vede la scena in tv ed esclama: ” Ma chi è quel signore vestito di bianco vicino a Bepi?”
Era una boutade. Far stampare euro dalla nostra zecca. Ci avevano creduto tutti alla boutade che aveva detto Berlusconi. Perfino Berlusconi. E infatti la boutade, come fosse una cosa seria, era finita nel sito del Pdl (http://www.ilpopolodellaliberta.it/notizie/23156/berlusconi-ciao-ciao-euro-se-la-merkel-non-ci-ascolta). Ed era finita, la boutade, anche nella pagina di Silvio Berlusconi medesimo, sì proprio quella sua, quella del Cavaliere, quella personale, quella seguita da quasi 500 mila fans (http://www.facebook.com/SilvioBerlusconi/posts/421118577922253). Come diceva Altan? “Mi vengono in mente idee che non condivido”. Basta trasformarle in boutade.
Ma se fate così date un’arma a Grillo. Meglio: se non vogliamo dare delle armi a Grillo dobbiamo fare così. Improvvisamente il problema dei politici italiani è come fare a non dare armi a Grillo. Bisogna occupersi dei privilegi della casta non perché sono una schifezza ma perché sono un’arma per Grillo. Un mafioso in Parlamento è un’arma per Grillo non uno scandalo per tutti. Gli sprechi di denaro pubblico sono un’arma per Grillo. Ed io credevo che fosse una tremenda sciocchezza. Tassare i poveri e favorire i ricchi pensavo che fosse una spietata ingiustizia sociale. No, è un’arma per Grillo. Consentire alla banche di fare il bello e il cattivo tempo, prendendo i soldi europei e stroizzando i piccoli industriali italiani? Arma per Grillo. Lo Stato che non paga i debiti e prendende i crediti? Grillo ci va a nozze.
L’antipolitica è una parola cretina, inventata da politici imbelli, corrotti e incapaci. L’antipolitica è una splendida arma per Grillo.
Anche persone di un certo livello di studi, anche intellettuali che illuminano con la loro saggezza il nostro pensiero, anche persone moderate e prudenti, anche loro, quando si parla di calcio, perdono la testa. Tralascio la mia noia quando li ascolto parlare di 5-2-3 o di fasce o di cose del genere. Immagino che anche loro si annoierebbero sentendomi parlare dei sistemi migliori per accatastare la legna. Quello che e’ assolutamente insopportabile è la cieca visione del mondo cha hanno i tifosi. “Se un difensore con un mitra uccide un attaccante in area di rigore Lui direbbe che si tratta di un fallo involontario e che non c’è il rigore”, diceva un mio amico di un amico supertifoso. Di fronte a qualsiasi problema ci si divide non in relazione alle proprie idee o alla maniera di esporle e difenderle ma in base alla squadra per cui si fa il tifo. E così, anche adesso, attorno al caso Buffon il discrimine non è la propria concezione etica o magari le proprie idee garantiste, ma il fatto che si sia juventini o meno, o in subordine se si è tifosi della nazionale. E così Buffon può permettersi di dire, il giorno prima, “di che stiamo parlando?” attaccando giornalisti e magistrati e il giorno dopo difendersi sostenendo che i soldi sono suoi e ne fa quello che vuole. I soldi sono miei e ne faccio quello che voglio. Devo segnarmela questa frase il giorno che mi beccano mentre sto corrompendo un giudice.