dal Corriere della Sera
Non sappiamo che cos’abbia spinto il premier a criticare ieri il Corriere . Non gli piaceva il fondo di Ernesto Galli della Loggia che pur stigmatizzando (e ci mancherebbe…) le espressioni da lui usate contro il presidente della Repubblica, riconosceva una serie di meriti all’azione del governo? Non credo. Non gli andava il corsivo di Pierluigi Battista che smentiva la vulgata di sinistra dell’esistenza di un regime con la sua impronta? Impensabile.Forse abbiamo un unico grande torto. Siamo un giornale che ragiona con la propria testa, lungo il solco liberale della sua tradizione. Un quotidiano che si ostina a coltivare la propria indipendenza. Abbiamo rispetto del ruolo politico e sociale del Cavaliere, e più volte su queste colonne lo abbiamo sottolineato. Ma ne critichiamo gli eccessi. Nello stesso tempo difendiamo i valori costituzionali e gli insostituibili ruoli di garanzia di alcune sue istituzioni. Ci sforziamo di trovare, nel dibattito quotidiano, più le ragioni per unire questo Paese, anziché dividerlo, più i motivi per sostenerlo anziché colpirlo.Il Corriere non veste alcuna divisa e non indossa nessun elmetto. Si è ben guardato, in questi mesi, dall’assecondare la campagna scatenata contro il premier, con vasta eco all’estero, dai suoi nemici, politici ed editoriali, e da tutti quelli che hanno ridotto l’opposizione allo sguardo insistito nella sua vita privata. Dimenticando tutto il resto. Come se non esistesse più un governo che va giudicato dagli atti concreti, quelli che servono al Paese in una delle crisi sociali ed economiche più acute.Tutti quelli che lavorano onestamente, dalla mattina alla sera, cittadini, lavoratori, professionisti e imprenditori, non possono che soffrire e nutrire un profondo senso di ingiustizia nel vedere l’immagine internazionale del nostro Paese messa così ingiustamente alla berlina.berluscaCerto le notizie non le abbiamo mai nascoste. Mai. Ma neanche strumentalizzate e piegate alle esigenze di parte, come accade in quasi tutto il panorama editoriale. I fatti ormai non sono più separati dalle opinioni, sono al servizio delle opinioni. Le inchieste di Bari sono state rivelate dal Corriere . Abbiamo informato, correttamente, senza mistificare la realtà com’è prassi quotidiana sulla stampa e sul video. Ma non abbiamo mai partecipato alla guerra civile mediatica che si è scatenata subito dopo. Per rispetto dei lettori, innanzitutto, che non vanno assoldati e iscritti d’ufficio a un partito o all’altro.Il Corriere ha ospitato tutte le opinioni, nel solco della sua migliore tradizione. Ha elogiato il governo quando se lo meritava. Non poche volte. Lo ha criticato quando a nostro giudizio sbagliava. E’ successo, e in forma anche più dura, con i governi di centrosinistra. Ha praticato e difeso una libertà di stampa responsabile. Le querele ai giornali sono legittime, per carità, ma costituiscono spesso un errore, a mio personale giudizio, se vengono da chi ha alti incarichi istituzionali e di governo.Chi scrive ne ha collezionate, tra querele e cause civili, ben 180. E nei giorni scorsi ha perso in appello contro gli avvocati del premier Ghedini e Pecorella. Dunque, avevano ragione loro a sentirsi diffamati da un mio scritto del 2002. La sentenza è chiara e la accetto, senza pormi il problema se il giudice fosse di destra o di sinistra e senza cambiare idea rispetto a quello che ho scritto. Sbaglierò, ma non ho mai pensato minimamente che per difendere la mia libertà d’espressione fosse necessario scendere in piazza.Il Corriere è un giornale liberale e moderato, una delle istituzioni di garanzia di questo Paese. Non vuole partecipare allo scontro fra due fazioni, in un’Italia ridotta a una desolante arena nella quale si sta perdendo, insieme allo stile e al decoro, anche un po’ il lume della ragione. Vuole occuparsi dei problemi reali del Paese, informando correttamente i cittadini, rappresentando al meglio «quell’Italia che ce la fa», che lavora, produce, esporta, studia. Un grande Paese che non merita giudizi sommari. Senza muoverci di un millimetro da quello che consideriamo un nostro dovere verso i lettori
dal Fatto
Ferruccio de Bortoli è un galantuomo. E il Corriere della sera è un grande quotidiano che tenta, grazie al direttore, a molti giornalisti e a pochi editorialisti, di difendere la propria indipendenza. Ora, come ai tempi del fascismo, della P2, del craxismo e del secondo governo Berlusconi, il regime gli ripresenta il conto: o bacia la sacra pantofola, anzi la scarpina con tacchi e rialzo, o è la guerra. Si ripete pari pari la scena del 2003, quando de Bortoli fu costretto ad andarsene dopo mesi di attacchi e lettere minatorie. Il Corriere aveva una sola colpa: non apparteneva al Cavaliere, dunque non passava le sue veline, ma dava le notizie. Ergo era comunista. Poi venne Mieli, ma l’importante era affermare il principio che i direttori sgraditi al Boss saltano. Mieli seguitò a dare le notizie e si permise financo un paio di critiche. Finchè il Boss disse pubblicamente che Mieli e Anselmi, direttore della Stampa, “devono cambiare mestiere”. Lo cambiarono entrambi. Al Corriere tornò de Bortoli e fece un giornale molto più accomodante del precedente: se ieri c’erano Montanelli, Biagi, Sartori, Penati, Grevi e Stella, controbilanciati da Galli della Loggia, Panebianco, Ostellino, Romano, Franco, Battista, oggi strabordano i secondi, intervallati ogni 29 febbraio da qualche pallida critica. Prima un colpo al cerchio e uno alla botte. Ora cento al cerchio e uno alla botte. Ma non basta ancora: il Corriere rimane comunista. Lo scrive de Bortoli, nell’editoriale di ieri: caro Presidente, non le bastano le dosi intensive di Galli della Loggia e Battista? No che non gli bastano. Lui è ingordo, bulimico, totalitario. Pretende sempre di più. Non basta nascondere lo scoop sulla D’Addario; o pubblicare le balle spaziali di Della Loggia sull’inesistente voltafaccia della Consulta o le corbellerie di Cerchiobattista sul regime che non c’è perché 9 giudici costituzionali su 15 non si sono appecoronati ai diktat di palazzo Grazioli; o titolare “ironia del premier” sul volgare insulto alla Bindi; o gridare al vilipendio a ogni battuta di Grillo e a ogni critica di Di Pietro, e poi dar fondo alle riserve di vaselina per minimizzare le sparate eversive di Berlusconi e Bossi (titolo di ieri: “La Lega: la Consulta va abolita. Proposta-provocazione, Pdl più cauto”). Non basta nemmeno intervistare ogni due per tre Tarak ben Ammar e Marina Berlusconi come se fossero osservatori indipendenti, e non azionisti di Mediobanca e dunque del Corriere. Il “terzismo”, semprechè sia esistito, è morto e sepolto. Serviva a tener ferma la sinistra mentre Berlusconi la menava. Ma oggi la sinistra non c’è più, o si tiene ferma da sola. Il Boss non vuole un Corriere ancor più compiacente: lo vuole suo. Lo vuole come Il Giornale, anzi ve lo ingloberebbe volentieri sotto la direzione unica di Littorio Feltri. La riduzione del danno, la modica quantità di critiche, il compromesso quotidiano non gl’interessano. Cedere ogni giorno un centimetro di libertà per salvare il salvabile non è sbagliato: è inutile. Come diceva Paolo Sylos Labini, “chi accetta il meno peggio con Berlusconi si prepara a un peggio ancora peggiore”. Come dice Vittorio Cecchi Gori che l’ha conosciuto bene, “Silvio è fatto così: se gli dai un dito, lui si prende il culo”.
di Eugenio Scalfari
….A questo proposito viene acconcio citare l´articolo uscito ieri sul «Corriere della Sera» e firmato dal suo direttore. L´ho letto e ne sono rimasto colpito e profondamente rattristato. Sono amico di Ferruccio De Bortoli anche se spesso in questi ultimi mesi ho dissentito dalla sua linea giornalistica. Ma in casa propria ciascuno decide liberamente a quale lampione e con quale corda impiccarsi.L´articolo di ieri va però assai al di là del prevedibile. Poiché Berlusconi il giorno prima aveva rimproverato il «Corriere della Sera» d´essere diventato di sinistra, il direttore di quel giornale manifesta il suo stupore e il suo dolore. Cita tutti gli articoli recenti da lui pubblicati che hanno sostenuto il governo e le sue ragioni; rivendica di non aver mai partecipato a campagne di stampa faziose, condotte da gruppi editoriali che vogliono pregiudizialmente mettere il governo in difficoltà con argomenti risibili;ricorda di aver approvato la politica economica e sociale del governo, la sua efficienza operativa, la sua politica estera; ammette di averlo criticato solo quando è stato troppo duro con la Corte costituzionale e con il Capo dello Stato; auspica una tregua generale tra le istituzioni; riconosce al presidente del Consiglio l´attenuante di essere perseguitato in modo inconsueto dalla magistratura.is90 debortoli mario cerviInfine ribadisce la natura liberale che storicamente il giornale da lui diretto ha sempre seguito e nello stesso numero pubblica un´intervista a piena pagina con Marina Berlusconi, con splendida foto nella quale la figlia del leader rivaleggia con una Ava Gardner bionda anziché mora, che in quel contesto assume inevitabilmente una funzione riparatoria per qualche birichinata di troppo.Mi procura sincero dolore un giornale liberale ridotto a pietire un riconoscimento al merito dal peggior governo degli ultimi centocinquanta anni di storia patria, Mussolini escluso. E ridotto ad attaccare noi di «Repubblica», faziosi e farabutti per definizione, per marcare la propria differenza.Noi siamo liberali, caro Ferruccio. Liberali veri. Non abbiamo pregiudizi, ma vediamo sintomi ed effetti d´una deriva che minaccia le sorti del Paese.Vediamo anche la totale inefficienza di questo governo che non ha attuata nessuna delle promesse e degli impegni assunti con il suo elettorato salvo quelli che recano giovamento personale al premier e ai suoi accoliti.Voglio qui ricordare un non dimenticabile articolo di Barbara Spinelli pubblicato dalla «Stampa» di qualche settimana fa, che forse De Bortoli non ha letto. Mi permetto di consigliargliene la lettura. I giornali ricevono molte querele e molte citazioni per danni, ricordava la Spinelli. Fa parte della rischiosa professione giornalistica e degli errori che talvolta vengono compiuti.is70 debortoliMa quando è il potere politico e addirittura il capo del governo a tradurli in giudizio perché hanno osato porgli domande scomode, quando questo avviene – ha scritto la Spinelli – i giornali che sono in fisiologica concorrenza tra loro fanno blocco comune e quelle stesse domande le pongono essi stessi, le fanno proprie per togliere ogni alibi ad un potere che dà prova di non sopportare il controllo della pubblica opinione. La stampa italiana – concludeva – non ha fatto questo, mancando così ad uno dei suoi doveri.Si può non esser d´accordo con il codice morale e deontologico della Spinelli (peraltro seguito da tutta la stampa occidentale) e non mettere in pratica le sue esortazioni. Ma addirittura accusare noi d´una nefasta faziosità rivendicando a proprio favore titoli di merito verso il governo, questo è un doppio salto mortale che da te e dal tuo giornale francamente non mi aspettavo. A tal punto è dunque arrivato il potere di intimidazione che il governo esercita sulla libera stampa?Ricordo, a titolo di rievocazione storica, che Luigi Albertini incoraggiò il movimento fascista dal 1919 al 1922; gli assegnava il compito di mettere ordine nel Paese purché, dopo averlo adempiuto, se ne ritornasse a casa con un benservito. Ma nel 1923 Mussolini abolì la libertà di stampa e instaurò il regime a partito unico, le cui premesse c´erano tutte fin dal sorgere del movimento fascista.Caracciolo Scalfari e Formenton 1984A quel punto Albertini capì e cominciò una campagna d´opposizione senza sconti, tra le più robuste dell´epoca. Purtroppo perfettamente inutile perché il peggio era già accaduto, il regime dittatoriale era ormai solidamente insediato e l´ex direttore del «Corriere della Sera» se ne andò a consolarsi a Torrimpietra.sgp48 a bernard depace debortoliAd Indro Montanelli è accaduto altrettanto, ma lui almeno se n´è accorto prima. Difese per vent´anni dalle colonne del «Giornale» le ragioni del Berlusconi imprenditore d´assalto. Si accorse nel 1994 di quale pasta fosse fatto il suo editore e lo lasciò con una drammatica rottura. Ma era tardi anche per lui.Se c´è un aldilà, la sua pena sarà quella di vedere Vittorio Feltri alla guida del giornale da lui fondato. Al «Corriere della Sera» quest´esperienza d´un giornalista di razza al quale dedicano un santino al giorno dovrebbero farla propria per capire qual è il gusto e il valore della libertà liberale.
di Ferruccio De Bortoli
Non potevamo ricevere miglior attestato dell’indipendenza del Corriere . Nel giro di due giorni siamo stati attaccati sia da destra sia da sinistra. Al Cavaliere non sono andate giù le inchieste di Bari, svelate per primo dal Corriere , né forse alcune posizioni che abbiamo ospitato sul lodo Alfano, sullo scudo fiscale o la difesa delle regole costituzionali.Marco Travaglio ed Eugenio Scalfari, che ieri hanno scritto sui rispettivi giornali, Il Fatto e la Repubblica , (a loro rispondo a pagina 12) ci rimproverano sostanzialmente di non far parte dell’esercito mediatico che Berlusconi lo vorrebbe mandare a casa senza chiedere agli italiani se sono d’accordo. Un giornale non è un partito. L’informazione è corretta se fornisce al lettore tutti gli elementi necessari per formarsi, in piena libertà e senza condizionamenti, un’opinione. Non lo è quando amplifica o sottostima una notizia chiedendosi prima se giova o no alla propria parte o al proprio padrone. Ed è quello che sta accadendo oggi: i fatti non sono più separati dalle opinioni. Sono al servizio delle opinioni.I lettori rischiano di essere inconsapevolmente arruolati in due trincee, dalle quali si danno vita a campagne stampa e raccolte di firme. Tutti liberi di farlo, naturalmente. A volte con qualche ottima ragione. Ma senza trattare poi coloro che non vi aderiscono come alleati di fatto del nemico o pavidi spettatori. Gli avvenimenti sono spesso manipolati, piegati alla bisogna. Trionfa la logica dell’attacco personale, della delegittimazione morale.Giuseppe D’avanzo C’è il regime in Italia, come scrivono alcuni giornali stranieri? No, e la pronuncia della Consulta lo dimostra. La libertà di stampa è in pericolo? Le querele sono gravi e da condannare, specie se vengono dal potere a scopo intimidatorio, ma il pluralismo c’è, nonostante tutto. Il premier deve rispondere alle domande? A tutte, anche alle più reiterate e innocue. Purtroppo, però, le regole di base di questa professione sono saltate. Chi non si mette un elmetto e si schiera è un traditore o un venduto, non un professionista al servizio del proprio pubblico.lapr02 yaki elkann Una buona e corretta informazione, scriveva Luigi Einaudi, che collaborò a queste colonne, fornisce al cittadino gli ingredienti, non avariati, per deliberare, per essere più responsabile e libero. E non un tifoso ancora più assetato del sangue dell’avversario. Noi restiamo fedeli a questo spirito, nel rispetto dei valori costituzionali e nel tracciato storico di una tradizione liberale e democratica.Al Corriere , che ha le sue idee, si rispettano quelle degli altri. Altrove no. Una tregua è oggi necessaria. Berlusconi ha commesso (anche ieri) i suoi errori. Mostri più rispetto per le istituzioni e per la stampa, anche estera. Gli altri, per la volontà della maggioranza degli elettori. I giornali facciano il proprio dovere, fino in fondo.Il clima conflittuale creato nel Paese ha qualcosa di inquietante e dovrebbe indurre tutti a fermarsi un attimo, a chiedersi se per abbattere l’avversario sia davvero necessario bruciare l’intero edificio civile, istituzioni comprese, mostrando al mondo uno spettacolo ingiusto e amaro. L’Italia vera, per fortuna, è diversa.
Marco Travaglio su Il Fatto di ieri, quotidiano al quale formulo i miei auguri, mi accusa sostanzialmente di non avere sufficiente schiena dritta nei confronti del premier. Non condivido in nulla il modo di fare giornalismo di Travaglio, ma ne difendo la libertà d’espressione. Quando ero amministratore delegato della Rcs Libri, alcuni azionisti di questo gruppo (che a volte assomigliano al consiglio di sicurezza dell’Onu, tanto sono diversi fra loro) mi chiesero di non pubblicare più i suoi libri presso la Bur Rizzoli. Io mi opposi fermamente. E non per un calcolo economico.Travaglio ci rimprovera di aver nascosto la notizia di Patrizia D’Addario e poi diventata famosa in tutto il mondo. Non è così. Intanto è stato uno scoop del Corriere . Certo, l’abbiamo pubblicata con la dovuta cautela e tutti punti interrogativi di una vicenda ancora oggi poco chiara. Altri due giornali, che l’hanno avuta prima di noi, non l’hanno pubblicata. E non l’abbiamo trasformata poi in un’eroina del femminismo.Travaglio si lamenta dello spazio eccessivo dato a Marina Berlusconi e a Tarak Ben Ammar, che fanno parte del consiglio di Mediobanca, uno dei nostri azionisti. Ringrazio Travaglio per avermi formulato questa critica perché mi dà l’opportunità di parlare del mio rapporto con l’azionariato. Il Corriere ha tra i principali soci la Fiat eppure ciò non ha impedito al giornale di esprimersi contro la concessione di altri incentivi al gruppo torinese. Hanno ragione le piccole aziende e i professionisti a dolersene: i loro dipendenti non sono diversi dagli operai e dagli impiegati del gruppo torinese, specie nel momento in cui la famiglia Agnelli si candida ad acquistare, a debito, la Fideuram da Intesa Sanpaolo.Anche questa grande banca fa parte dei nostri azionisti. Ne abbiamo svelato il profondo contrasto che divide l’anima piemontese da quella lombarda. E nello scandalo del credito col contagocce, siamo convinti che le piccole banche si stiano comportando meglio delle grandi. E l’Alitalia che è stata salvata da una cordata con dentro molti degli altri nostri azionisti? Un errore, l’ho sempre pensato e scritto.Devo andare avanti? E veniamo all’editoriale di Eugenio Scalfari sulla Repubblica che ho trovato ingiusto e insultante. Mi dispiace molto. Scalfari ha letto la mia risposta di venerdì alle accuse del premier, manipolando le mie parole a suo uso e consumo. Lo considero profondamente scorretto. Il paradosso di tutta questa vicenda è che Repubblica ha fatto la sua campagna contro il premier con le notizie pubblicate… dal Corriere .Scalfari tenta di delegittimarmi moralmente perché non abbiamo seguito il suo giornale, querelato dal premier, e non siamo scesi in piazza sotto le bandiere di un partito o di un sindacato. Sulle querele ho già detto quello che penso. Ed Ernesto Galli della Loggia ha preso posizione sul Corriere sul fatto che le querele a Repubblica e all’ Unità fossero sbagliate e gravi.daddario sbarca al lidoMa dov’erano lui e il suo giornale quando gli avvocati di Berlusconi, Ghedini e Pecorella (da me chiamati avvocaticchi per le leggi ad personam e per questo condannato) mi citarono in giudizio? E dov’erano lui e il suo giornale quando D’Alema, allora al potere, se la prese con noi fino a proporre la mia cacciata dall’Ordine dei giornalisti? Li ho forse accusati, in quelle occasioni, di essersi accucciati al potere di turno? No, rispettai il loro ruolo, anche se di spettatori. Interessati. Devo andare avanti?p.s. Ringrazio infine i colleghi di Repubblica che mi hanno espresso solidarietà dopo aver letto le dichiarazioni di Berlusconi alle quali il loro giornale non ha dedicato nemmeno una riga.
CHE CASINO
Di Pietro, Borsellino, Falcone, Ingroia, Ciancimino, il papello, Annozero. Confesso: non ci ho capito niente. Sento che è qualcosa di importante, mi fido di Ruotolo e di Santoro, ma mi perdo. Borsellino sapeva della trattativa fra Mafia e Stato. Questo l’ho capito. E Martelli ricorda. Quello che non capisco è: perché Martelli ricorda solo oggi? (csf)
da Claudio Urbani, Roma
Ma la cosa che ritengo più squallida è: si sonO domandati se la tredicenne strupata, dopo quarantannni,si sia scordata tutTo, ma proprio tutto e il suo drammma sia solo durato 42 giorni
da Biagio Coppola, golfo di Napoli
Proporrei il Nobel per la medicina a mio figlio, che è brillante studente del quarto anno a Veterinaria, che scoprirà il vaccino per la Leishmaniosi.
Dimmi tu se doveva pure capitare che Roman Polanski violentasse una ragazza di tredici anni! Direte voi: ma è successo più di trenta anni fa. Vabbé, allora? L’episodio mi era sfuggito oppure me lo sono scordato. Roman Polanski aveva 44 anni allora. Fece 42 giorni di carcere e poi patteggiò col pm una pena risibile (si impegnò a seguire una terapia antiviolenza). Ma la cosa non finì lì. Non ho capito se ci fosse un’altra accusa pendente, oppure se il tribunale non fosse d’accordo col pm. Fatto sta che Polanski, per non sapere né leggere né scrivere – come direbbe mia nonna – rifugiò all’estero inseguito da un mandato d’arresto internazionale. Fin qui tutto normale. Cioè: uno violenta, gli altri lo arrestano. E magari capita che lo arrestino dopo 32 anni. Ma ecco che scatta il meccanismo lobbistico. Luca Barbareschi: “Per lui era una grossa ferita, un errore che pagava sulla sua pelle”. Adrien Brody: “Non merita assolutamente quello che gli sta succedendo”. Marina Zenovich: “Prosegue il processo mediatico”. Monica Bellucci, Ettore Scola, Marco Bellocchio, Giuseppe Tornatore: loro si dichiarano esterrefatti e firmano una petizione per la sua liberazione. Perfino il ministro per la Cultura francese, Frederic Mitterrand, parla di un fatto assolutamente spaventoso per una storia vecchia che non ha davvero senso.E lui? “L’unica cosa che voglio è lasciarmi alle spalle questa storia. Se ho sbagliato, credo di aver pagato”. Uno stupro contro 42 giorni di carcere? Ha pagato: ma accidenti che razza di sconto.Tutte le mosche
“Io sono il più grande comico degli ultimi 150 anni, sfido chiunque a negarlo. Vedrete di che pasta sono fatto».«Gesù Cristo è la seconda persona più perseguitata di tutti i tempi».