da Isabella Guarini, Napoli
Caro CSF, La signora Carla Bruni avrebbe dichiarato di essere felice di essere francese. Almeno avrebbe dovuto dire italo- francese.E noi diciamo: ” A nemico che fugge, ponti d’oro”. La first lady francese, però, ha ragione sul fatto che bisogna abbandonare la definizione di nazionalità nella derivazione razziale. Lei è giustamente francese per scelta, Obama americano, io, se posso dirlo, sono italiana per nascita, cultura e non me ne vergogno.
da Paolo Beretta
Cos’è cambiato ? Parlando di programmi, ad esempio, lo svincolo dall’Iraq in sedici mesi e le aperture verso Teheran e Cuba. Quanto all’inseguire oltre i confini, Obama parla di Al Quaeda e dei confini del Pakistan (che mi risulta essere alleato USA nel conflitto afghano). Abbiamo in ballo due guerre, una più ingiusta dell’altra. Se il presidente in carica è deciso a farne finire almeno una, a me va benissimo. Poi nessuno viene promosso a priori: le prospettive sono migliori rispetto a Mc Cain ma, come per tutti, lo aspettiamo alla prova dei fatti.
da Pino Granata
E’ felice di non essere più italiana. A parte il fatto che la Bruni vive in Fancia da qualche decennio, come diceva qualcuno, Italiani si nasce e non è che ci si può dimettere. Una volta nati e formati in un Paese si rimane condizionati, nel bene e nel male da quella cultura. A me, e credo a molti altri, del fatto che la Bruni non sia più italiana, non può fregar di meno. Se il restar italiana di Carla Bruni ci potesse togliere di torno Berlusconi, la cosa sarebbe diversa, ma visto che anche lei non può farci niente, la cosa è ininfluente. C’è da dire che l’augusto sposo della Bruni non è proprio il miglior esemplare di democratico a cui far riferimento. Ecco adesso che è francese aiuti il marito a far meglio e a non diventare un altro Berlusconi.
da Gianni Guasto
Se Vallanzasca partecipasse al Blog per rivendicare un ruolo di Padre della Patria (stato giuridico ottenibile da chiunque abbia partecipato ad almeno tre puntate di Porta A Porta), effettivamente sarei molto seccato. Ma se lo stesso partecipasse per raccontarci la vita del carcere e che cosa pensa un (ex?) delinquente, perché non dovrei starlo a sentire? Io gli rivolgerei persino la parola; in fondo, le sbarre di un carcere non sono (più, da tempo) le sbarre di uno zoo.
da Mario Strada
Il New York Times e’ una fonte insostituibile. Oggi un articolo fa l’elenco delle cose che la nuova presidenza dovra’ fare, secondo il programma enunciato. Intervengono gli esperti. Lee Myers tratta di “Interrogations and Guantanamo” e ci regala un perla. Dunque, si dovrebbe chiudere Guantanamo (che e’ nella parte dell’isola di Cuba sotto controllo USA) e trasferire i detenuti negli Stati Uniti. Pero’ “persino i sostenitori di questa decisione riconoscono che ci saranno delle potenziali conseguenze, incluso il fatto che, per mancanza di prove, saranno liberati dei sospetti.” Effettivamente, e’ antipatico: bisognera’ liberare un po’ di persone per mancanza di prove.http://www.nytimes.com/2008/11/09/us/politics/09promises.html?_r=1&hp;=&oref;=slogin&pagewanted;=all
Il peso del carcere, scrive Morucci, è ancora quello degli anni trenta, mentre nell’era dell’informatica, “il ritmo vitale è regolato da bit privi di peso” L’ affermarsi dell’immateriale che connota le società high tech e rende reale l’istante dovrebbe comportare una revisione di alcuni concetti sin qui validi: il peso valutato in tempo da trascorrere in carcere a favore di un peso che prescinda dal tempo. Penso che ciò non sia possibile perché il tempo dell’immateriale è il tempo reale, ovvero uguale a zero. Se nella formula s=vt il valore di t è zero, si annulla la velocità e lo spazio. Ciò significa che lo spazio del carcere scomparirebbe del tutto insieme al peso.
da Armando Gasparini, Veneto Alto
Nella sua prima conferenza stampa, Obama ha definito “inaccettabile” il fatto che l’Iran si doti di un’arma nucleare, e ha aggiunto che il sostegno di Teheran al terrorismo deve cessare. Punto. E nel suo programma c’è scritto che è pronto a inseguire quelli che attaccano l’Afghanistan anche oltre i confini. Punto. Cosa è cambiato cari blogghisti plaudenti ?
Dalla vittoria di Obama io ho percepito soprattutto una cosa… Visto che non possiamo averne Uno al governo, sarebbe bello avere perlomeno un Mc Cain all’opposizione. Sarebbe bello che anche in questo Paese chi ha la responsabilità della sconfitta di una parte, facesse un passo indietro e dicesse: sorry, colpa mia, me ne vado!
dall’avv. Lina Arena
Si può dire: h’à da venì baffone ?Ebbene se sì, che male c’è a liberarsi non solo dalla schiavitù economica ma anche da quella delle parole dette per benino? Che male c’è calzare le scarpe con la suola di gomma e trasparente e poi varcare la soglia di Palazzo Chigi? Per i nostri estremisti parrucconi e perbenisti tutto è male se non è detto nella maniera giusta e per bene.Bisogna vestire con la giacca giusta e con la cravatta di moda. Bisogna ammirare Carla Bruni e fare il gioco della ricca ereditiera. Bisogna ancora desiderare il marito ricco che ti compra il brillante. Bisogna ancora avere la villa e la villona…..Insomma, amici cari. Vogliamo smetterla con tanto vecchiume? Vogliamo liberarci dalla parola del rito ambrosiano? Vogliamo evitare i riccioli della lingua parlata secondo le regole della Sacra Romana Chiesa? Se sì, bisogna ammettere che abbronzati o visi pallidi o gialli lo siamo tutti e che se una parola dal sen fuggita non ci appare acconcia è inutile costruire un castello di accuse e ritorsioni. E’ bene invece chiarire ed ignorare. E poi passare oltre. Magari fossi abbronzata come Obama e magari lo fosse il cavaliere che ha le fattezze di un muratore vestito a festa ! Forse non abbiamo ancora capito che le spoglie o il colore della pelle non incidono su quello che frulla nel cervello di ognuno e che le novità se dette da Obama , da Sarkozy o da Berlusconi hanno la valenza del nuovo rispetto all’antico che ci ha malamente governato.
da Isabella Guarini, Napoli Caro CSF, non sono tra quelli che si sbracciano per l’elezione del 44° Presidente degli States d’ America, perché in democrazia ogni elezione è un evento di ordinaria dialettica democrazia. Tuttavia, ho l’impressione che in America l’insediamento del Presidente, in quanto carica che rappresenta l’unità della Nazione, sia sentito come una incoronazione, anche per le modalità solenni con cui avviene davanti al popolo secondo una liturgia quasi regale. Nulla a che vedere con le nostre sbiadite formule parlamentari.