da Alessandro Ceratti
Dalla discussione in questo blog e in generale nei mezzi di comunicazione nazionali risulta questo fatto assodato: un ragazzo straniero ci impiega due o tre mesi per imparare l’italiano. Nessuno, neppure i leghisti lo negano. E allora io mi domando: ma perché dopo 8 (se non 13) anni di insegnamento di lingua straniera i nostri ragazzi spesso non sono riusciti a imparare che qualche frasetta di un inglese appicicaticcio? A me questo modo di imparare sembra l’applicazione perfetta del principio: “buttiamolo in acqua e imparerà a nuotare”. E, vista l’indubitabile efficacia di questa fine e poco traumatica procedura pedagogica, perché non ci decidiamo ad applicarla sistematicamente e non incominciamo ad insegnare le equazioni differenziali in seconda elementare?
da Bruno Stucchi – Cuggiono La Germania ha contato le emissioni di CO2 prima della riunificazione (quindi Germania Est esclusa) poi a Germanie riunite (1990, data di riferimento di Kyoto), dopo la chiusura di tutte le fabbriche inquinanti e vecchie dell’est. Meglio di Tremonti. E ora, le energie “rinnovabili (cioe’ aleatorie, inaffidabili e costose): in Germania l’eolico copre si’ e no il 5% del fabbisogo nazionale; il fotovoltaico non arriva al 1%. Nel frattempo costruiscono centrali a lignite; hanno anche spostato la chiesa del villagio, per farne una: http://news.bbc.co.uk/2/hi/europe/7058366.stm
PARLIAMONE 30 OTTOBRE 2008
UNA GIACCA DA CAMERA. Qualche mio attento lettore conosce forse la mia strenua e perdente battaglia contro l’obbligo di indossare la giacca per entrare in Parlamento. Non sono uno cui piace combattere contro i mulini a vento. Quindi dopo i primi scontri con coloro che volevano che io indossassi la giacca per incontrare qualche parlamentare, ho deciso di arrendermi. O meglio. Ho deciso che avrei cercato in tutte le maniere di evitare di essere costretto ad avere bisogno di frequentare Camera e Senato. Ritengo questa faccenda della giacca un residuo di medioevo (ed è già tanto che non ci sia l’obbligo della parrucca). Non vedo veramente nessun motivo razionale perché una persona debba essere costretta ad indossare un indumento scelto da altri come se questo indumento significasse di per sé decoro e dignità.Se arrivo con una giacca a pois? Debbo provarci, E con una giacca rosa a righe bianche? Potrei provarci, perché ce l’ho. Se arrivo con una giacca di pelle con le frange tipo Davy Crockett? Vorrei vedere. Se arrivo con una giacca sporca piena di macchie di sugo di pomodoro? Chissà. L’unica cosa certa è che se arrivo con un cachemirino elegantissimo che costa quanto quattro giacche non mi fanno entrare. Non sono degno della Camera.In attesa che in Parlamento decidano di dare l’avvio a questa fondamentale rivoluzione della giacca magari smettendola per un attimo di dibattere sul prossimo presidente della Commissione vigilanza Rai, io faccio a meno di frequentare la lobby della giacca da Camera.Capita però che stamattina , richiesto dal ministro Mara Carfgana di presentare il suo libro “Stelle a destra”, edito dal mio editore, Aliberti, mi presento sul luogo del misfatto convinto che si tratti di una delle tante sale per conferenze romane. Invece no. Si tratta di una delle tante location di proprietà della Camera dei Deputati. E in quanto tale vige la legge transitiva. Cioè: giacca. Ignaro, mi presento con il mio golfino arancione. E vengo subito stoppato all’ingresso da personale addestrato. Il metal detector suona. Escluderei che sia addestrato a reagire alla mancanza di giacca. Evidentemente ha beccato del metallo. Ma è solo la giacca mancante che indigna gli addetti al cerimoniale.“Bene”, dico, “dite al ministro che non ha più il conduttore”. Vengono fuori, una alla volta, molte persone incredule che un pirla possa impuntarsi su una stronzata simile. Essù, si metta questa giacca che le forniamo noi. Io spiego che no, che ci tengo ai miei stupidi principi. Che io sono elegantissimo con il mio golfino arancione. Viene fuori anche il ministro Mara. Molto gentilmente mi chiede se non potrei fare una deroga al mio principio. Molto gentilmente io le chiedo se non si potrebbe fare una deroga al loro principio. Dopo quindici minuti, e l’intervento di non pochi mediatori, si scopre che sì, si può fare una deroga al divieto di mancanza di giacca . E vengo fatto entrare. Mi sento un eroe, l’autore di un’impresa da Guinness dei Primati, l’uomo che ha infranto un tabù. E devo ammettere. E’ merito di un ministro di destra, donna, giovane se una stupidaggine formale è stata temporaneamente dimenticata. Sono forse il primo rompicoglioni che è entrato di luogo sacro senza giacca. Non so se mi spiego.Ma la giornata non è finita. Nel pomeriggio ho appuntamento con Alessandra Mussolini (non mi privo di nulla). Mi presento a palazzo San Macuto con il mio golfino arancione. Aaargh! Manca la giacca!. Anche qui? Sì, è territorio sacro anche San Macuto. Non ne posso più. Ero convinto di aver cambiato la storia d’Italia mentre invece c’è ancora molto cammino da compiere. D’altra parte la rivoluzione non è un pranzo di gala. Ma non ce la faccio a ripetere la mia ottima performance del mattino. Una piccola battaglia l’ho già vinta. Mi attesto su quelle posizioni. Decido di essere magnanimo e indosso obbediente una giacca blu in dotazione all’ingresso. Salgo nell’ufficio di Alessandra. Mi tolgo subito la giacca. Poi mi scappa la pipì e vado in bagno. In fondo a destra. Fuori del bagno mi ferma una signora in divisa. “Lei chi è?”. Declino le mie generalità. “E la giacca?” Las giacca? Ma debbo fare solo la pipì. Capisco il messaggio. La pipì si fa in giacca. Ma se torno dall’altra parte del corridoio a mettermi la giacca me la faccio sotto. Ottengo una deroga. Per questa volta pipì senza giacca. Anche questa sembra una rivoluzione. Pipì senza giacca. A San Macuto. (csf)
dall’avv. Lina Arena
Da quale limbo, cultura, inferno o periferia vengono i Culti che vorrebbero impedire ai Morucci, Riina o Provenzano (si,anche Provenzano ) di scrivere e dialogare con i lettori di un quotidiano o di un blog? Sono allibita per la protervia e la presunzione che colgo nelle posizioni dei partecipanti a questo blog allorquando mostrano non solo di non gradire ma di voler addirittura impedire la partecipazione e quindi imporre il silenzio a noti terroristi o a delinquenti che hanno provato sulla loro pelle il costo triste del processo e della galera. Solitamente mi capita di cogliere simili posizioni in soggetti che non conoscono gli argomenti su cui si discute o che apprezzano solo le condanne irrogate dai capipopolo senza capire o conoscere le ideologie degli stessi capipopolo. E’ grave questa cultura del silenziatore anche perché proviene da gente che di cultura politico-economica ne mostra veramente poca. Vorrei dire ai tanti avversari della penna di Morucci che le BR furono anche definite da quella sinistra che oggi vorrebbe l’imprimatur della democrazia i “ fratelli che sbagliano” o che hanno avuto fretta a sbarazzarsi dei nemici della classe operaia. Mi riferisco ai Capi del PCI che da sempre hanno taciuto sugli obbiettivi “ veri “ del partito comunista.
da Pier Franco Schiavone
Sfido chiunque ad affermare che si debba leggere tutto su tutti gli argomenti su cui si esprime un’opinione. Il lettore seleziona, si fa guidare dall’istinto, dalla curiosità e, a volte, dai suggerimenti. Sulle carceri, per esempio, ho avuto testimonianze dirette e un’amica, che in carcere insegna, mi ha suggerito anche un paio di letture, sufficienti per avere un’idea senza diventare un esperto. Morucci dice che moltitudini di giovani sparavano? Palle. Dice che i brigatisti furono più numerosi dei partigiani? Palle, furono 15.000 solo i morti tra i partigiani! Ha detto altre cose che, secondo me, non stanno in piedi; lui ha diritto di parola, ma non leggo il libro di chi non mi sembra all’altezza, tutto qua.
Padronissimo. Ma almeno in questo caso rinuncia a dire la tua opinione su un libro che non conosci. Quello che contesto è che la notizia del libro di Morucci abbia dato il fuoco alle polveri di una polemica fra persone che non hanno letto il libro. Tutti a discutere sul suo diritto a parlare e nessuno curioso di sapere che cazzo ha scritto. Tu sei convinto, visto che hai letto due libri, di sapere di carcere pù di lui che il carcere se l’è fatto. E sei talmente convinto di sapere tutto che con lui non ne vuoi nemmeno parlare(csf)
da Isabella Guarini, Napoli
Nella letteratura di tutti i tempi sono presenti gli scritti dal carcere. come se la privazione della libertà conciliasse il pensare e lo scrivere. Molti sono anche i film sugli orrori delle carceri. Che sia l’uomo di Alcatraz, ho pensato mentre leggevo delle Patrie Galere a pagina 47:”me ne stavo lì a mangiare una delizia di torta alle fragole e a sminuzzarne le briciole da dare ai passeri che si assiepavano intorno.” È Valerio Morucci che scrive di quando era seduto “al bar Tropicana nel paese di Bengodi per la cioccolata. Era il 1978
da Silvia Palombi
Veronesi plaude al nuovo pomodoro geneticamente modificato che condurrà a un vittoria contro il cancro. Bene. A costo di sembrare petulante, ovvia, ingenua e chi più ne ha più ne metta dico: ma cercare di ammalarsi meno no? Osservanza del protocollo di Kyoto, abbeverarsi all’acquedotto, assumere frutta e verdura di stagione e prodotti locali, usare meno la macchina, proibire le hammer nei centri delle città che il fegato si contrae meno, mangiare fresco e non confezionato, eccetera. Che scema eh?
da Muin Masri
Piano, cosa sarebbe stata l’umanità’ senza Caino, una noia mortale. Scrivi, scrivi Valerio, raccontaci come si sente un uomo che ha perso tutto tranne la voglia di vivere. “Se io conoscessi la storia, vi dimostrerei che il male quaggiù è venuto sempre per colpa di qualche uomo di genio; ma io non conosco la storia, perché non so nulla di nulla…” Il nipote di Rameau-Jacques il fatalista di D. Diderot.
da Valerio Morucci
Dai tempi di Tangentopoli si è andata sensibilmente modificando la composizione sociale del popolo carcerato. Capitava sempre più spesso che venissero sgominate bande di spacciatori ‘fai da te’, formate da gente con una attività commerciale, o anche bande di sequestratori. C’è una teoria che vuole il livellamento della classe media verso il basso. E da qui, forse, la maggiore possibilità di cadere nel crimine. Comoda come teoria, e consolatoria. Più probabile che – superato in quegli anni il rapporto tra lavoro e guadagno, nel senso che c’erano modi più ‘creativi’ e meno faticosi per guadagnare – si possa essere arrivati a livelli di spesa non sempre sostenibili. E dato che le regole erano ormai state scavalcate, molti abbiano creduto che questo potesse riguardare anche le regole penali. In testa i politici, per i quali le norme che rendevano reato il loro procacciamento di fondi erano percepite come ‘obsolete’.Oggi è notizia quotidiana l’arresto di ‘delinquenti’ non appartenenti al sottoproletariato. Ma forse non ci si riflette abbastanza. Come per Tangentopoli, il popolo potrà essere poi dirottato verso l’untore, più che verso i tratti di fondo di un (auto)distruttivo procedere.Giorni fa è stato arrestato un ex impiegato di banca, licenziatosi per meglio seguire le speculazioni in Borsa che dovevano arricchirlo. Tutte andate a tracollo, 70.000 euro di debito, e lui che rientra in banca ma da rapinatore. L’altro ieri due notize appaiate su un giornale di strada. Una l’arresto di una avvocatessa del processo ‘Laziogate’. Aveva organizzato una rapina in danno di due facoltosi clienti del suo studio. Doveva ripianare dei debiti. L’altra il rinvio a giudizio dei vertici del Conservatorio di Santa Cecilia per dei “corsi fantasma” che avevano fruttato 733mila euro. Santa Cecilia, un tempio della Musica. Probabilmente tutta gente, prima, rispettabilissima.Ma, oltre ai ‘colletti bianchi’, indebitati per vivere da ricchi, finiscono in carcere anche i ‘colletti blu’ che non possono più fare debiti neanche per vivere da poveri, cioè alla canna del gas. A metà settembre sono stati arrestati a Pontecorvo due precari, marito e moglie, ladri di verdura. Due zucchine e due cetrioli in un campo. Flagranza di reato, e subito in galera.Aggravandosi la crisi in atto, e avanzandosi i programmi di questo governo a tutela delle fasce sociali più abbienti, gli altri tutti giù per terra – (il precedente voleva perlomeno tutelare quelli cui si riusciva a mantenere un lavoro, possibilmente sindacalizzati quindi… e gli altri tutti giù per terra) – è prevedibile che aumenterà la componente carceraria non sottoproletaria. Il carcere, mentre prima era un luogo fuori dai circuiti sociali ‘produttivi’, o della ‘gente per bene’, è oggi collocato sul percorso sociale come una possibilità per chiunque. Non soltanto per il nostro vicino. Dipende dal tiro di dadi e ci si può finire fermi per due giri. (Continua)
da Armando Gasparini, Veneto Alto
Granata fa dell’ilarità involontaria, e insiste! Veda questa foto…Il Circo Massimo di Roma fotografato dall’elicottero alle 17,15 di sabato pomeriggio (foto Benvegnù – Guaitoli – Lannutti)http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2008/10/25/circo-massimo/pd-2008_sm.jpg