da Alessandro Ceratti
La tua comparsata da Piroso è venuta bene. Avresti potuto funzionare nel gruppo di “quelli della notte”. Sono sincero, però lo sai che in più tifo per te.
da Mario Strada
Il New York Times pubblica oggi un articolo dedicato al General Social Survey che da 34 anni effettua affidabili indagini sui comportamenti e le opinioni degli statunitensi. Sotto riporto il link, per chi vuole leggere il pezzo. L’indice di lettura dei quotidiani si e’ dimezzato, passando da 70 (su 100) a 35. Se la tendenza si conferma anche in Italia e si accentua, i giornalisti che non saranno in grado di lavorare con piu’ media avranno molti anni sabbatici.
Umberto Galimberti su Repubblica
CÈ UNA parola magica che, quando si è in procinto di fare disastri o a disastri avvenuti, viene evocata per garantirsi l’impunità, quando non addirittura il rispetto anche da parte di chi non ne condivide le posizioni e soprattutto le conseguenze della azioni. Questa parola magica si chiama “coscienza”. L’abbiamo sentita evocare da Fernando Rossi e da Franco Turigliatto, i due senatori che, con il loro voto, hanno determinato la caduta del governo Prodi. Alla “coscienza” e a quella sua variante che sono i “princìpi” era ricorso anche Clemente Mastella per giustificare la sua opposizione ai Dico. Alla “coscienza” ricorrono infine tutti quei medici che rifiutano l’interruzione di gravidanza anche nei casi consentiti dalla legge o la sospensione delle cure come nel caso Welby e in altri simili. Ma cos’è questa “coscienza”? E’ la dittatura del principio della soggettività che non si fa carico di alcuna responsabilità collettiva e tanto meno delle conseguenze che ne derivano. Il medico che, in nome dell’obbiezione di coscienza”, rifiuta l’interruzione di gravidanza a chi nella miseria genera molti figli nella più assoluta indigenza, a chi resta incinta in età infantile, a chi porta in grembo feti affetti da malattie ereditane, non si fa carico delle condizioni della madre e dell’infelicità futura dei nascituri, ma solo dell’osservanza dei suoi princìpi, che consente alla sua coscienza di sentirsi “a posto”, proprio perché rimuove, nega, non vede o non vuoi vedere le conseguenze della sua decisione. Questo tipo di “coscienza” che non assume alcuna responsabilità sociale è una coscienza troppo ristretta, troppo angusta per poter essere eretta a principio della decisione. Se poi, alle sua spalle lavora l’obbedienza a princìpi che qualche autorità, come ad esempio la chiesa, pone come “vincolanti”, allora si giunge a quell’autolimitazione della responsabilità che abbiamo conosciuto in epoca nazista, dove tutti, dalle più alte gerarchie ai semplici militari, si sentivano responsabili solo di fronte ai superiori (“Ho obbedito agli ordini”) e non responsabili di fronte alle conseguenze delle loro azioni. Se la dittatura della coscienza soggettiva, che in nome dei propri princìpi non si piega alla mediazione e non si fa carico delle domande sociali (come possono essere quelle delle coppie di fatto o dei malati terminali che chiedono l’interruzione delle cure) diventa principio inappellabile in politica, che è il luogo dove dovrebbe trovare compensazione il conflitto delle diverse posizioni, allora bisogna dire chiaro e forte che coloro che si attengono alla dittatura della coscienza non devono entrare in politica, perché la loro coscienza non prevede alcuna responsabilità collettiva, ma solo l’osservanza dei propri princìpi. E questo vale tanto per i medici, la cui responsabilità oggi non e più solo tecnico-professionale ma anche sociale, quanto per i politici che, per il solo fatto di aver deciso di entrare in politica, non possono esonerarsi, in nome dei loro princìpi, di ascoltare le domande, le richieste, i desideri di coloro che li hanno eletti. Perché la politica è mediazione non “testimonianza”. Per la testimonianza ci sono altre sedi, come ad esempio la condotta della propria vita.Se si attiene unicamente ai propri princìpi senza farsi carico delle mediazioni e soprattutto delle conseguenze delle proprie azioni, una simile coscienza che limita a tal punto il “principio di responsabilità collettiva e sociale” è troppo ristretta e troppo angusta per diventare il punto di riferimento della decisione politica, che per sua natura deve farsi carico della mediazione e delle conseguenze delle sue risoluzioni. Per cui la dittatura della soggettività è in ogni suo aspetto incompatibile con l’agire politico, e non salva neppure l’anima perché, come ci ricorda Kant: “La morale è fatta per l’uomo, non l’uomo per la morale”. E questo monito vale anche, e forse a maggior ragione, per l’ideologia.
di Barbara Spinelli – la Stampa – 25-02-2007
Per capire la natura dell’ultima crisi di governo bisogna probabilmente smettere di usare questa parola: crisi. Crisi ha qualcosa di subitaneo e circoscritto: l’atto d’irresponsabilità di due senatori della sinistra radicale avrebbe precipitato un governo già di per sé litigioso, ma il caso di coscienza non si estenderebbe oltre il perimetro della maggioranza. Il dizionario Devoto descrive la crisi come «esacerbazione o insorgenza improvvisa di fenomeni morbosi violenti, per lo più di breve durata». Crisi è anche un eufemismo: tutto il tessuto intorno è sano, solo quel punto lì è strappo da rammendare.
Meglio dunque parlare di malattia, o di male italiano. È un male non legato a una sola forza l’ideologismo di un’estrema sinistra che ha avuto la sciagurata leggerezza di candidare irresponsabili al Parlamento ma è una patologia che affligge la maggior parte dei politici e quasi tutta la classe dirigente (cioè chiunque eserciti indirettamente responsabilità nella pòlis: attori economici, intellettuali, giornalisti). I sintomi sono chiari: una perdita di memoria che sconfina nell’amnesia, una profonda sottovalutazione del pericolo che si corre quando s’occulta il passato, una mancanza continuativa di coscienza etica. CONTINUA…
da Domenico de Franco
Gli oggetti ci parlano. Ci parla quel quadro con la foto dei nonni, che era rimasto appeso lì per ventidue anni e che ieri sera alle 8 e 57 ha deciso di staccarsi dalla parete suicidandosi in mille pezzi. Ci parla quel quaderno tutto ingiallito, il diario della nostra adolescenza, saltato fuori da solo dalla libreria, dopo anni di ricerche, in una mattina di primavera. Anche stamattina gli oggetti mi hanno parlato. Mi ha parlato la zip dei pantaloni che si è incagliata in modo irreversibile, puntando i piedi come un mulo caparbio. Mi ha parlato la lametta che mi ha fatto un taglietto sul mento, e una stupida lucina rimasta accesa in macchina che ha succhiato tutta l’energia della batteria, lasciandomi a piedi.Parlano a volte gli oggetti, e stamattina mi hanno detto: “Stronzo!”
da Franco Palazzi, Modena
Ieri siamo stati a Padova per la mostra su De Chirico e, passando per il mercatino di Prato della Valle, abbiamo comprato un piccolo ulivo – lo spazio è quello che è – da portare a casa.Gli abbiamo dato nome Romano, per ringraziare Prodi.Stavo cominciando ad alimentare qualche speranza che stessimo pian piano diventando normali, quando ci siamo more solito autolesionati, ho provato un’amarezza che non avrei creduto.Spero che ce la faccia, che ce la facciamo, forza Romano, forza Romano!
da Federica Pirrone, Milano
Alla fecondazione, lo spermatozoo penetra nell’oocita, e si ha la fusione delle due membrane plasmatiche. Dopo 30 ore avviene la singamia, ossia l’unione dei due pronuclei aploidi (23 cromosomi), e si forma l’uovo fecondato diploide, o zigote (46 cromosomi). Lo zigote si divide rapidamente in modo esponenziale, dando luogo alle prime cellule embrionali (blastomeri). Ad un dato numero di blastomeri, si forma una masserella simile ad una mora, detta morula, che diviene in seguito blastocisti (7° giorno). Siamo in cavità uterina, dal 14° giorno, se avverrà l’impianto, lo sviluppo passerà attraverso gli stadi di embrione e feto. In questi 14 giorni, inoltre, la notevole plasticità del processo vitale può portare ad un’ulteriore forma di divisione, quella gemellare, con la ben nota nascita di due individui. Dunque, se con individuo si intende un ente indivisibile, cioè un organismo che se diviso muore, allora nelle prime fasi del processo vitale non si può parlare di individuo.
da Carla Bergamo
Scrive Mino Carta (direttore del settimanale più serio circolante in Brasile, Carta Capital):“Silvio Berlusconi non teme il ridicolo. In verità, lui non si rende conto di quanto riesce a essere ridicolo. Più grave è che milioni di Italiani non se ne rendano conto. (…) Temo che ci siano ancora molti Italiani disposti a vestire la camicia nera e seguire Mussolini nella drammatica pantomima della Marcia su Roma. Evento fatale, che consegnò il Paese al fascismo. Non credo che esista un simile rischio, in questo esatto momento, ma ampi settori della piccola borghesia esibiscono ancora un misto di provincialismo e taccagneria. Berlusconi è il loro eroe, perfetto interprete della furbizia, nella sua accezione più bassa, e della volgarità.” (…)Perfetto.
da Gianluca Freda
Caro De Franco, in effetti sono perplesso. Lafoto di Ceratti è sicuramente la più verosimileche abbia visto finora tra quelle delle missioniApollo. Una domanda: ma Ceratti è poi mai tornato sulla Terra?
da Giovanna Rosa, Milano
L’avevo pure letto quel mattone da 281 pagine e devo ammettere che non era neanche malaccio. E’ il film che ci hanno ricavato che è risultato proprio inguardabile. E pensare che stavo per fare la recensione da mandare su blogbook. A questo punto mi toccherà copiare e incollare il testo del bigino, tanto sono solo 12 punticini.
Va bene, diciamolo. Questo pezzo di governo Prodi non mi ha fatto godere intensamente, ma è pur sempre il meglio che è stato espresso in Italia come amministrazione pubblica negli ultimi venti anni. Non mi unisco quindi al coro dei suoi denigratori. Viva Prodi e abbasso Andreotti con quella piccola banda che lo ha affossato. Compreso D’Alema che non la racconta giusta. (csf)