da Repubblica.it
Confermata la condanna a Cesare Previti nel processo d’Appello Sme. I giudici della corte d’appello di Milano hanno ribadito la condanna per il senatore di Forza Italia a cinque anni così come quella di Attilio Pacifico a quattro, mentre hanno ridotto la pena a sette anni per l’ex capo del Gip di Roma Renato Squillante che in primo grado era stato condannato a otto anni. Secco il commento del diretto interessato, l’avvocato Cesare Previti, deputato di Forza Italia e ministro della Difesa nel primo governo Berlusconi: “Rispetto questa sentenza come si rispetta un colpo di pistola, un’esecuzione pianificata”. “Dovrei essere sorpreso – sottolinea Previti – di una condanna che arriva al termine di un processo partito da un teste integralmente falso, che addirittura ha recentemente confessato di essere stato imbeccato ed eterodiretto, come io sostenevo da dieci anni, un dibattimento fondato su un fascicolo di prove inesistenti, inventate, e quindi cadute proprio perché inventate, dal quale sono scomparsi atti e documenti molto importanti, comunque in grado di dimostrare ancora di più la mia totale e assoluta innocenza, dove in sede d’appello non trova spazio nemmeno la ritrattazione del testimone d’accusa”. “Ma – aggiunge – non sono meravigliato. Perché sono anni che subisco dei non processi”. “Naturalmente – conclude – continuerò a battermi fino in fondo, per ottenere ciò che nessuno finora mi ha dato: giustizia. E’ un diritto della collettività, di cui faccio parte, accertare fino a che punto il sistema giudiziario è malato, se è moribondo o, addirittura, morto”.
di Giovanna Casadio (su Repubblica)
«Non sono convinta che siano tante le donne che decidono di interrompere la gravidanza per motivi economici. Molte lo fanno per ragioni di salute, moltissime sono immigrate. E poi, ci sono le giovanissime che conducono una vita sessuale da adulte senza conoscere la contraccezione. Anche perché di questi tempi non si parla più di preservativi, ad esempio. Farei una campagna dandoli gratuitamente…». Stefania Prestigiacomo, ministro delle Pari opportunità, rilancia sul tema più ostico per i cattolici: la contraccezione. L’intervista di Giovanna Casadio su Repubblica. Clic
da Pier Franco Schiavone, Milano
Mò mi tocca pure difendere Massimo Fini. Trono, in quale passo del suo articolo Fini si rallegra che in Italia si reclutano terroristi che poi si fanno saltare in aria altrove? Forse sono distratto ma su questo Blog ho l’impressione che alcuni rispondono stravolgendo quello che c’è scritto per assenza di argomentazioni da opporre. E così si tirano fuori i cani di Pavlov, accuse infondate (Statera contro di me e Arena contro l’ottimo Beretta sono arrivati al limite dell’insulto) e chi più ne ha più ne metta. Perchè non si risponde, com’è legittimo, sul merito?
dall’avv. Lina Arena
Replicare al sig. Beretta e non Berretta è perfettamente inutile se non si dispone di un proprio blog dove mettere le parole giuste al posto giusto. Giocare con simile gente è utile solo per capire da dove provengono e da dove attingono tanta banale arroganza. E’ bene che Beretta non sia meridionale? Non mi importa. Credevo fosse più colto e civile. Non lo è.
Cara avv., come avrebbe detto mia nonna lei a volte fa venire proprio il latte alle ginocchia. (csf)
da Giorgio Trono
Un valido magistrato disse di lasciar perdere ciò che i giornalisti scrivono a proposito di diritto perchè nella maggior parte dei casi sono sciocchezze. Il tuttologo Massimo Fini (da quando è un esperto del reato di terrorismo internazionale?) ne dà conferma. Fini tra l’altro si rallegra che in Italia si è liberi di reclutare e dare assistenza a terroristi che si fanno saltare in aria all’estero. Al di là della corretta interpretazione della norma, egli rivela un preoccupante concetto di sicurezza sociale. Ma dimenticavo, è lo stesso Massimo Fini che desiderava andare a vivere con il mullah Omar.
da Nunzia Penelope
Scusate se interrompo questo interessante blog, ma a qualcuno lo devo dire: qui a Roma e’ appena finita una pagliacciata dal ridicolo titolo ”Esercitazioni antiterrorismo”. Il succo della vicenda: traffico paralizzato sotto la pioggia battente, metropolitane sbarrate, autobus bloccati, vie d’accesso al centro chiuse, Stazione Termini impraticabile( per chi arrivava ma anche per chi, poveretto, partiva..), e, ovviamente, romani incazzati neri. E’ vero che a Roma di mattinate cosi’ ne viviamo parecchie, anche senza le ‘esercitazioni’ del prefetto Serra e del ministro Pisanu. Ma era proprio necessario giocare alla guerra, mentre altrove raccolgono cadaveri veri?
da Gianni Franchini
Mi si accusa di “relativismo laico” e anche, tanto per non far mancare nulla, di assassino di bambini mai nati, di voler vivere senza regole ecc ecc. Si dice: ci salverà la Chiesa Cattolica! Può darsi che nell’anno Tremila si scoprirà che la Chiesa aveva ragione nel Duemila (e che magari nel Quattromila aveva torto e così via), solo che io, vorrei poter giudicare e decidere per ora e adesso, lasciando ai soliti posteri l’arduo giudizio su di me, assassino di bambini. Per quanto riguarda la regole che queste siano ispirate, discusse e ponderate da gente come filosofi, scienziati, antropologi, biologi ecc ecc e non (almeno non solo) da preti alle prese con oscillanti masse a cui somministrare la Verità Divina di giornata o politici in cerca di frettolose rielezioni che fanno le fusa ai cardinali e poi divorziano e abortiscono a gogò. Un po’ più di serietà e rispetto, dato il tema, aiuterebbe tutti.
da Paola Altrui, Roma
Virgilio Mancini manifesta con serenità e pacatezza le proprie perplessità sulle quote rosa. Credo che il primo equivoco da chiarire sia quello relativo al tipo di obbligo che esse implicano: e cioè, la percentuale minima di donne che ciascun partito dovrebbe inserire nelle proprie liste, ferma restando la libertà degli elettori di votare per il candidato o la candidata che preferiscono. Anche dopo l’introduzione delle quote rosa, quindi, nulla esclude l’eventualità che il Parlamento continui a essere composto per la quasi totalità da uomini; ma si darebbe finalmente attuazione all’art. 51 della Costituzione (“Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.”). Non vedo nulla di discriminatorio in questo; indubbiamente, l’adozione spontanea e progressiva di un comportamento “virtuoso” avrebbe reso superfluo il ricorso ad una previsione di legge. Un po’ come è accaduto per il divieto di fumo.
di Massimo Fini (Il Gazzettino”, 30/11/2005)
Allora il giudice milanese Clementina Forleo non era una mezza matta o addirittura una simpatizzante della jihad, come strillò scandalizzata, la destra quando lo scorso gennaio assolse Mohammed Daki e altri due magrebini dall’accusa di “terrorismo internazionale”, pur condannandoli per altri reati, quali la ricettazione di passaporti falsi e la alterazione di documenti ad uso di immigrati clandestini. La terza Corte d’assise d’Appello di Milano ha infatti confermato la sentenza di primo grado, assolvendo peraltro Daki da tutte le imputazioni condannando gli altri due per i reati minori.Si tratta di sentenze importanti perché operano una distinzione fra guerriglia e il reato di “terrorismo internazionale” introdotto in Italia dopo l’11 settembre Il nuovo articolo del nostro Codice penale (270 bis) non specifica cosa si intenda per “terrorismo internazionale”, ed è toccato quindi ai giudici, di merito, mettere i paletti per definirlo. È stato infatti accertato che Daki e gli altri reclutavano elementi per rifornire l’organizzazione “Al Ansar Al Islam” che in Iraq combatte contro gli occupanti angloamericani e italiani. Per il Pm milanese Stefano Dambruoso questo era sufficiente per considerare i tre complici del terrorismo. Ma “Al Ansar Al Islam” in Iraq fa soprattutto guerriglia e solo marginalmente atti di terrorismo e non c’era nessuna prova che gli elementi reclutati da Daki e gli altri avessero partecipato a questo tipo di azioni. I giudici hanno quindi applicato innanzitutto il principio generale del diritto secondo il quale nessuno può essere condannato se nei suoi confronti non sono state raccolte prove che ne dimostrano la colpevolezza “oltre ogni ragionevole dubbio”. Ma così facendo hanno anche operato, implicitamente ed esplicitamente, una distinzione fra guerriglia e terrorismo, perché era provato “oltre ogni ragionevole dubbio” che Daki e i suoi reclutassero elementi che andavano a combattere in Iraq contro gli occupanti. CONTINUA…