da Walter Vanini, Carona (Bergamo)
Anche in questi giorni i giornali forniscono l’ennesimo, drammatico aggiornamento del numero dei profughi che con il loro carico di disperazione e di speranze approdano sulle coste della Sicilia. Purtroppo molti non raggiungono il litorale italiano e perdono la vita in mare prima di raggiungere l’isola. I dati riferiscono che in dieci anni, le vittime sarebbero circa ventimila. Una cifra impressionante, da conflitto bellico, che dovrebbe mobilitare il mondo politico italiano. Ma la tragedia di quei poveracci non suscita l’interesse dei nostri politici. Non certo del centrodestra, visto che i profughi non naufragano sulle coste di Porto Rotondo, e nemmeno del centrosinistra, che da tempo non sa più dire nè fare nulla di sinistra. Forse potrebbe occuparsene la Chiesa. Ma è talmente impegnata a curarsi di aborto, clonazione e gay che non le si può certo chiedere di pensare anche ai poveri!
da Virgilio Mancini
Secondo me il signor Serpieri ha una passione nascosta per le arabe velate; sono le uniche che lo turbano, dice lui. E’ un po’ come quelli che ce l’hanno tanto con i gay e poi, come ricordava Franco Grillini, in realtà sono quasi tutti omosessuali repressi che avrebbero bisogno di andare dall’analista. Un simile accanimento del resto si spiega facilmente con un antico detto: chi disprezza compra!
da Vincenzo Rocchino, Genova
Non avrei voluto metterci il becco nella questione aborto; mi ci spinge il post di Ceratti che è, a mio vedere, un classico di ipocrisia e di strampalate soluzioni, dopo il “racconto” (per me dramma) di Anna Mantero. La 194, dovremmo (e dobbiamo) difenderla per loro e per noi. Questi assalti per la sua revisione sono una vergogna. Nessuno costringe nessuno ad abortire, come nessuno costringe nessuno a divorziare: tant’è, è troppo “in” accodarsi al revisionismo clericale. Ricordo il mio post subito dopo l’ultimo referendum titolato: “ed ora sotto con la 194”. Troppo facile azzeccarci.
da Alessandro Ceratti
Freda, è sempre il solito argomento. E’ sempre il solito rischio. Se incomincio a dire che un uomo è un uomo in virtù dellla “sua forma, della sua funzione, dell tipo di relazionalità che instaura con l’ambiente esterno e con gli altri esseri umani” so dove comincio ma non so dove vado a finire. Con il rischio di buttare fuori chi invece dovrebbe stare dentro. Inoltre: sarà pure un problema filosofico e non scientifico, ma non per questo però possiamo permetterci il lusso di lasciarlo irrisolto: decidiamo una volta per tutte. E poi agiamo di conseguenza. Ma finché lasciamo tutto nel vago, finchè non vogliamo prendere posizione perché ci rendiamo conto che qualunque posizione prendiamo è difficilmente sostenibile, come possiamo però prendere quell'”altra” decisione?
da Giorgio Goldoni
Chi è Azmi Shuebi? E’ il responsabile del comitato economico del Consiglio Legislativo Palestinese (PLC), che ha dichiarato candidamente la incapacità del comitato stesso nell’identificare con esattezza i membri del sistema di sicurezza palestinese, poichè nè il Ministro degli Interni nè quello delle Finanze riesce a confermare la identità dei suoi collaboratori. Ciò significa che più di un quarto degli stipendi e prebende pagate a circa 60 000 funzionari di polizia palestinesi sono finiti a persone inesistenti o che non occupavano più nessuna posizione reale nelle forze di sicurezza. I pagamenti mensili sono dell’ordine di 350 milioni di dollari, e gran parte proviene da finanziamenti europei ed americani.
Non ho nessun problema di carattere xenofobo, ma desidererei che in Italia chi è pagato per far rispettare la legge facesse il proprio lavoro senza tormenti di carattere sociologico- esistenzialista. C’è una legge che vieta di andare in giro celando il proprio aspetto: è la stessa legge che pretende che anche le donne mussulmane, se vogliono farsi la carta d’identità, devono farsi fotografare senza velo. Non mi sembra che mostrare a fatica gli occhi, ovviamente seguendo il proprio uomo a rispettosa distanza, sia corrispondente al nostro concetto di legalità. Provo inoltre un profondo senso di compassione per questi esseri privati della loro individualità, e provo un profondo senso di compassione per una sinistra (femministe incluse) che ha gettato il cervello sull’ammasso di Maometto.
da Barbara Melotti
Non volevo rispondere a Granata, tantomeno a Ceratti, ma dopo aver letto Tassinari, mi rendo conto che forse una precisazione la devo, anche se francamente credevo fosse lampante. Avvilente non è affatto la maternità, è doverne disquisire con chi si ritiene in grado di ergersi a giudice delle tue scelte e ancor prima delle tue intenzioni, della tua “moralità” e del tuo “senso sociale”. La maternità è naturale, caro Granata: un miracolo sembra a lei, che la vede e non la vive. E la natura non è che sia gentile e non fa sconti. Avvilente è invece che mettere in piazza il proprio dolore, come fa Anna Mantero (e sia chiaro che non biasimo lei), serva ad ottenere la “commozione” di Ceratti. Della quale, io personalmente, non saprei che fare. Caro Tassinari, è proprio perchè io ho già “staccato la spina” con la parte fertile della mia vita di donna, che posso finalmente parlar chiaro. L’argomento è crudo e sturbante? E come crede che siano tante disquisizioni etiche tutte sulla nostra pelle?
da Luca Serpieri
Non sono avvocato e quindi non saprei neppure citare gli articoli che invece ha così puntualmente individuato. Cercavo semplicemente di dire che, giusto o sbagliato, una certa regolamentazione di come si va in giro vestiti c’è e queste norme sono precedenti alla recente immigrazione straniera. Per qualche motivo psicologico gli uomini si lasciano molto influenzare dall’abbigliamento delle persone. In quanto alla mia xenofobia si sbaglia. Io credo di essere anzi xenofilo: mi piace sentire sull’autobus qualcuno parlare inglese, oppure qualcuna delle lingue esotiche degli immigrati che mi diverto a cercare di riconoscere. Se vedo qualche africano con le sue palandrane coloratissime me lo rimiro con gusto, se incrocio un ebreo chassidim con i suoi riccioloni vado in visibilio. Però con le donne arabe velate no: mi riesce sgradevole. Non saprei dire perché, ma non può essere xenofobia perché altrimenti accadrebbe anche negli altri casi. Io credo che questa mia emozione abbia in qualche modo attinenza con il fatto che quell’abbigliamento è una contromisura sessuale, un modo di reprimere le donne.
da Isabella Guarini
Caro CSF, vedo che l’intervista a Vespa ha provocato un’animata discussione tra i bloggisti, non sul personaggio intervistato ma sull’intervistatore. Capita sempre così quando si sta a contatto con i baciati dal dono dell’ubiquità. Come spiritelli compaiono qua e là, seminando discordia e nebulizzandosi misteriosamente nell’etere della comunicazione.
di Marco Travaglio (da l’Unità del 24 novembre 2005)
Il Cavalier Bellachioma ha ragione. Quando denuncia l’esistenza di «pensionati usati dalla sinistra per parlar male del governo nei metrò e sui tram dicendo nel nostro bel dialetto milanese “uhè ti cossa l’è che gh’ha di el Berlusca? Che l’aumentava i pensiòn? S’è vist nagott…”,» sa di cosa parla. Nei giorni scorsi, travestito da pensionato, chi scrive è riuscito a infiltrarsi in un campo di addestramento diessino: le Frattocchie della Terza Età, nascoste nel verde della campagna reggiana. E ha assistito di persona a scene raccapriccianti. Orde di vecchietti deportati da tutta Italia venivano convogliate in un grande capannone, dove nerboruti metalmeccanici di Sesto San Giovanni tentavano di insegnare loro il dialetto milanese. Impresa piuttosto ardua, almeno per gli allievi non milanesi. A un certo punto un gruppo di irpini s’è ammutinato, non riuscendo a capire perché mai imparare il milanese per raccontare agli avellinesi cos’ha fatto il governo. Ma gl’istruttori insistevano imperterriti: «Ripetete con noi: Uhè ti; cossa l’è che gh’ha dì el Berlusca?». E raccomandavano ai pensionati di nascondere, possibilmente in Svizzera, le enormi fortune accumulate in cinque anni grazie ai noti aumenti delle minime. In un’altra zona del campo, in omaggio alle quote rosa, uno squadrone di massaie rosse delle Brigate Prodi si allenava a strapagare la frutta e la verdura al mercato contro il parere dei commercianti, per poi rinfacciare l’inflazione al governo. Poco lontano, in un poligono di tiro protetto da sacchi di sabbia e cavalli di frisia, venivano addestrati i magistrati, in toga rossa mimetica. Un nerboruto istruttore con la stella rossa sul petto, capelli a spazzola e grossi baffoni a manubrio, sulle note dell’Internazionale mostrava gli identikit di Berlusconi, Previti, Dell’Utri e Cuffaro, li sistemava su appositi cavalletti, distribuiva le freccette e dava inizio al tiro a segno. Premio per i più precisi: un posto di procuratore a Milano e a Palermo. In una serra lì a fianco marciava compatto un plotoncino di cimici: l’insegnante, un’enorme blatta rossa, le addestrava a insinuarsi in casa dei mafiosi e ad accendersi non appena questi telefo