da Gianni Mattioli
Caro Sabelli Fioretti, ho trovato molto gustoso il suo pitblog su Chicco Testa. Mi permetto tuttavia di segnalarle – per lo stesso livello di disinformazione – il pezzo di Sergio Romano “Nucleare: quando l’Italia decise di non essere moderna” (Corriere, 28 gennaio). Romano attribuisce al referendum dell’ ’87 quella che fu invece una scelta del Governo De Mita del 1991, fondata su una valutazione razionale: dal 1978 (ben prima di Chernobyl) negli Usa le aziende elettriche non avevano più ordinato nuovi impianti perchè giudicavano non competitiva (per i costi della sicurezza) l’energia nucleare e tale esempio era stato seguito da tutti i paesi europei – Francia compresa – che da oltre quindici anni non ordinano più nuovi impianti, ad eccezione di un impianto in Finlandia. L’Italia fece nè più e nè meno degli altri paesi: aveva un solo impianto (Caorso, già fermato per gli adeguamenti che sarebbero stati necessari dopo l’incidente di TMI e gli altri erano piccoli impianti prossimi alla fine di esercizio) e non aveva alcun senso realizzare Montalto di Castro, perchè ciò avrebbe richiesto di dotare il paese degli impianti del Ciclo del combustibile nucleare, invero molto onerosi, per due sole centrali. Gli Usa guidano oggi un consorzio, Generation IV, che punta alla realizzazione di un prototipo per il 2030, se si riuscirà a risolvere alcuni problemi tuttora irrisolti. L’energia nucleare copre oggi il 7% della domanda di energia nel mondo e tuttavia l’uranio necessario per questa modesta produzione ha un futuro dell’ordine dei trent’anni.
da Vincenzo Rocchino, Genova
Sarebbe interessante sapere come fa Grondona a “scialapparsi” le puntate di Telecamere. Credo che sia assolutamente da “resistente encomiabile”. A me, vedere la signora La Rosa, così si chiama?, dà l’allergia. (…)
da Pier Franco Schiavone, Milano
Cosa avete contro i rampolli? Io li capisco. Anche noi ragazzi del ’56, quando vi fu il terremoto in Friuli, organizzammo una festa nel mio paese. C’eravamo tutti, noi della Casacalenda Young. Il figlio di Peppe l’idraulico, la figlia di Marietta la droghiera (che gambe lunghe! La madre, non la figlia), il figlio di Pasquale il pasticcere, insomma tutti i rampolli della società che contava. Racimolammo, al netto delle spese, 37.500 lire per i terremotati. Noi rampolli, che vivevamo tra Termoli, Campobasso e Casacalenda, pur consci della responsabilità di portare cotanti cognomi, nonostante i nostri vent’anni, sentimmo il bisogno di fare qualcosa per aiutare i connazionali in difficoltà. Prima del momento clou della gara finale di morra, fece la sua fugace apparizione il giovanissimo comico Cornacchione, da Montefalcone del Sannio, che fece il suo famoso pezzo “Povero Giulio!” Il primo premio, una trasferta gratuita per assistere alla partita Virtus Larino – Kalena di Casacalenda, fu offerto dalla Polisportiva locale. Ricordo anche l’imbarazzo di Lillino, il figlio di Nicolino il corniciaio, quando gli chiedemmo se si era fatto la nuova donna delle pulizie della pensione “Stella”. Come divenne rosso! Che bei ricordi!
da Luciano Buonaiuto, Aversa
Le considerazioni di Claudio Urbani su questa pratica in uso dalla notte dei tempi mi hanno fatto riflettere. E ho notato che negli ultimi decenni si sono intensificate le guerre tra poveri; evidentemente altri moventi, odi tribali o religiosi, prevalgono oggi, come cause delle guerre, su quelli economici. Non so cosa dicesse la propaganda di Hitler; ma quella di Mussolini rivendicava il diritto dei popoli poveri, ma giovani e intraprendenti, di fare guerra a quelli ricchi per spartire le ricchezze mondiali. In questa riflessione i più intelligenti di tutti mi sono parsi i giapponesi. Da popolo più militarista del mondo, sono diventati il più pacifista. E hanno dato la dimostrazione concreta che con la pace ci si arricchisce, molto e presto. Speriamo che questa situazione in un certo senso idilliaca non venga rotta dall’atomica coreana.
da Vittorio Grondona
Gli americani ad un certo punto hanno dichiarato di aver vinto e se ne sono andati senza fornire altre spiegazioni (Fedro/Esopo: La volpe e l’uva).
da Fabio Lullia, Milano
Ricca sta solo cercando di diventare famoso ed ottenere visibilità, cosa che gli riesce benissimo.
da Alessandro Ceratti
Dopo varie vicissitudini informatiche sono finalmente riuscito a vedere il filmato della televisione pubblica svedese con Berlusconi. E’ spaventoso! Esso fornisce la prova che stiamo vivendo in un regime. In primo luogo perché lo dice esplicitamente, nella sua brevità essenziale, ricorda i pochi dati necessari e inoppugnabili per giungere a quella conclusione. In secondo luogo lo dimostra con il suo percorso nel mondo dell’informazione italiana. Sì, effettivamente la cosa non è passata totalmente inavvertita, diciamo che ha avuto più o meno la diffusione che avevano i samiszdat nell’Unione Sovietica. Ma, andate per la strada e chiedete alla gente se ne sa qualcosa! Un simile filmato, se in Italia ci fosse una informazione libera, sarebbe stato trasmesso come prima notizia in tutti i telegiornali, e non per un giorno solo. Ma certo, come sorprendersi che chi afferma che gli americani in Viet Nam si sono stancati non voglia poi riconoscere che in Italia c’è un regime?
da Giovanni Trombetti
Vittorio Feltri, “un giornalista del suo calibro”… mi fa venire in mente una battuta di Francesco Salvi, “dico personaggio del suo calibro perché trattasi di pistola!”. Per i non lombardi, preciso che “pistola” è sinonimo di pirla.
da Natalino Russo Seminara
Ditemi se io, aspirante umorista, non devo essere triste osservando che il Sig. Antonuccio mi surclassa quanto a ironia ( peraltro involontaria ). Pensate questo signore rimprovera a noi di sapere solo offendere e insultare Ricca, ovvero uno che proprio offendendo e insultando Berlusconi è diventato famoso, al punto che qualcuno pronostica per lui il premio di un seggio parlamentare. (…)
da P.A. Rei
Caro CSF, circa la sua tesi che gli elettori iracheni abbiano detto a Bush di andarsene le quoto l’opinione del Manifesto (via lucasofri):“L’assemblea e il futuro governo nascono però fortemente delegittimati dal momento che la comunità e le province a maggioranza sunnita (con una popolazione pari a circa il 40% degli abitanti), essendo state escluse dal voto hanno già annunciato di non riconoscere l’autorità dell’assemblea e del futuro governo. Lo stesso ha fatto l’ala sciita radicale che fa capo a Moqtada al Sadr. Entrambe si sono dette pronte a rientrare nel processo di redazione della nuova costituzione e nel prossimo governo a patto che i partiti vincitori delle elezioni annuncino una data per il ritiro delle truppe Usa dal paese. Una richiesta che è già stata respinta dal momento che sia la Lista unitaria sciita – composta dal Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq dell’iraniano Abdel Aziz al Hakim, dal partito «Al Dawa» di Ibrahim Jafaari filo-Usa e filo-Iran, e dall’ex pupillo del Pentagono Ahmed Chalabi – sia quella del premier Iyad Allawi hanno sostenuto la necessità di una presenza delle truppe straniere in Iraq”