da Luca Serpieri
Non è possibile! Andate veramente al di là di ogni misura. Tutte le volte che un elettore di destra si presenta in questo blog gli piovono addosso valanghe di insulti personali e sembra proprio che non siate in grado di valutare il senso del suo pensiero. Esso è sempre e soltanto visto vuoi come provocazione, vuoi come delirio, vuoi come luogo comune. La vostra mentalità è tanto aperta, così pronta ad accettare il diverso da voi, che poi sistematicamente mettete in dubbio l’esistenza stessa della persona “di destra”. Non esisterebbe l’avv. Arena, non de la Fuente, non il sig. Riccio.
di Silvia Palombi
Signor Nocera, può essere che io viva sugli alberi ma magari il condomino che ha affisso in bacheca l’informazione del versamento fatto per le vittime dello tsunami voleva invitare altri a fare altrettanto… Eh? Aggiungo una piccola nota senza alcun nesso logico con il condomino di cui sopra: ogni volta che sto senza entrare nel blog per qualche giorno mi dimentico di alcuni punti di riferimento del medesimo e ritrovo regolarmente l’avvocata nostra, erma granitica del sabellifioretti.com più acida che pria; che Allah la protegga e mantenga così! ma, mi chiedo, dove la trova tutta questa energia? Il livore sfianca, alla lunga…
Il 7 febbraio sarà nelle librerie il nuovo libro di Mario Lancisi “NO ALLA GUERRA” che ripropone in forma integrale “L’obbedienza non è più una virtù” di don Lorenzo Milani contro la guerra e in difesa dell’obiezione di coscienza. Tutta la vicenda iniziò 40 anni fa, l’11 febbraio del 1965 con il comunicato dei cappellani militari della Toscana contro l’obiezione di coscienza. La risposta di don Milani fu pubblicata da Rinascita e subito denunciata. In vista del processo il priore di Barbiana scrisse la splendida !Lettera ai giudici!. Le due lettere – ai cappellani militari e ai giudici – furono poi pubblicata dalla Lef con il titolo “L’Obbedienza non è più una virtù”, un libro cult per il movimento della pace. Il libro “NO ALLA GUERRA” discute quel testo e l’influenza di don Milani sul movimento della pace attraverso le testimonianze e interviste di Massimo Cacciari, Mons.Loris Capovilla, Franco Cardini, Giancarlo Caselli, Luigi Ciotti, Tonio Dell’Olio, Fabrizio Fabbrini, Francesco Gesualdi, Michele Gesualdi, Gad Lerner, Pietro Pinna, Adriano Sofri, Gino Strada, Alex Zanotelli.
da Michelangelo Moggia
Per Berlusconi che dona 10 miliardi a Don Gelmini, credo che la miglior risposta la dia il diretto superiore dello stesso sacerdote nel Vangelo di Matteo:“Guardatevi dal praticare le vostre opere buone davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli. Quando dunque fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perchè la tua elemosina resti segreta; e il padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.” (Matteo 6, vv.1-4)
da Gianni Guasto
Ma non possono farlo uscire ‘sto k… di cinquantatre? Dal Governo più salutista del mondo, ci si può aspettare anche qualcosa per la salute mentale dei cittadini? Dopo il proibizionismo antifumo e la galera per chi si fa una canna, lo Stato biscazziere continuerà ad assistere inerte alla conta quotidiana dei rovinati e dei suicidi?
da Giuliano Tasini
Alla Tv preferisco leggere un buon libro, e fra questi anche il tuo “Voltagabbana”. In questo penso una TV scarsetta FA UN BUON SERVIZIO ALLA LETTURA, ED ANCHE AL SONNO!
da segreteria telefonica di Santi Urso
Il signor Urso, in sciopero postprimario e preelettorale, ha autorizzato questa segreteria alla seguente precisazione.a) il cosiddetto cervello all’ammasso e’ per l’appunto il miglior strumento di ragionamento politico. il cervello che ragiona da solo e’ un ossimoro: in realta’ si affida al gusto, quindi puo’ indubbiamente fare osservazioni intelligenti, ma per puro caso. Inoltre il cervello indipendente e’ pericolosamente portato alle analogie (esempio preclaro: kamikaze) che fanno fare bella figura ma non spiegano niente (altri esempi preclari: la chiesa egli ebrei, Alessandro il Grande, se avete pazienza arriva anche Napoleone, in occasione del bicentenario dell’Impero). La sconfitta politica d’un ragionamento politico collettivo non significa che avesse torto storico (anche qui: astenersi analogie. esempio preclaro: nazismo&comunismo. subesempio: Spartaco, ma astenersi riabilitazione, eventualmente basta remake di film). Il ragionamento collettivo aiuta a capire le tendenze, cioe’ fa analisi, quello indipendente puo’ assicurare brillanti e applaudite descrizioni (battezzate analisi, esempio preclaro: quasi tutti glieditoriali dei quotidiani). b) il lamento sui migliori cervelli distrutti e’ un clamoroso falso in malafede. Ginsberg sta bene nella sua bara di carta, cioe’ le antologie della grande poesia: per testi politici rivolgersi altrove. Questa segreteria e’ autorizzata allo spelling: ma-s-si-mo-da-le-ma. Ma, come dicono i sacri testi, lasciamo che i morti seppelliscano i loro morti (e speriamo nei nipotini, visto che abbiamo perso padri e figli). c) il signor Urso, in sosta a Molfetta, ha scoperto che in Puglia sonoquattro milioni (e anche di piu’). Questa segreteria e’ autorizzata a porre la domanda: perche’ 3milioni e 940 mila non sanno che Vendola ha vinto?
da Alessandro Ceratti
Il conto di Csf pare ineccepibile e tuttavia è impreciso dal punto di vista economico. Come tutti sanno l’utilità marginale di un bene diminuisce man mano che si dispone di quantitativi sempre superiori di quel bene. Un bicchiere d’acqua da una borraccia in un deserto vale molto di più di una damigiana d’acqua da un autobotte, anche se la proporzione tra le quantità è la stessa. Per fare un esempio economico: se un riccone con 1000 miliardi cede un decimo dei suoi beni, gliene restano sempre 900 e sempre riccone rimane. Se un povero cristo con 10 milioni in banca, ne dà 1 in beneficenza è quasi un santo!
di Matteo Tassinari (10 gennaio 2005 – Mucchio Selvaggio)
Il suo ultimo disco s’intitolava “Anime Salve” e lui le conosceva perché anche lui lo era. Anzi, lo è. Aveva un viso bellissimo, Fabrizio, quello di una persona capace di vivere intensamente il dolore altrui. Domani sono passati sei anni da quando lo piansi perché mia madre mi disse che al tg avevano detto della morte di De Andrè. La vita mi aveva fatto il dono di intervistarlo tre volte (Forlì, Riccione e Rimini) e la beffa di essere invitato a casa sua e non esserci andato. Con Enrica, infatti, ebbe la disponibilità di chiederci se volessimo passare una decina di giorni a Tempio Pausania in Sardegna dove viveva con Dori. A noi non ci sembrava vero e ovviamente accettammo. Poi, per le solite ragioni di cui non si conosce la ragione, non ci andammo. Oggi il rammarico è davvero tanto. Parlammo liberamente quella sera e l’intervista si trasformò in un bellissimo scambio di parole, in quel post concerto notturno nel back-stage. Poi passarono alcuni mesi e nel silenzio Fabrizio era in ospedale ricoverato. Era un lunedì e per un attimo il tempo, per un periodo imprecisato, si è arrestato su quella voce e su come scolpiva con le parole l’anima di chi le ascoltava. Nato ricco, da una famiglia molto conosciuta a Genova (suo padre era amministratore dell’Eridania) quindi di estrazione medio-borghese per passare la vita intera a denunciarne le ipocrisie di quel vivere a lui troppo stretto e poco incline alla misericordia umana. Un magnifico borghese che tradì le sue origini sociali per cantare in chiave trobadorica medievale di prostitute, disertori di guerra, amici fragili, barboni, indiani uccisi da un “generale di 20 anni con occhi turchini e giacca uguale e figlio del temporale”. Un artista che ha sempre avuto la percezione netta che il mondo era ingiusto e ottuso e per questo ci commuoveva quando metteva in parole e musica “La buona novella” o “La guerra di Piero”. Quando in quella quartina il soldato sceglieva di morire piuttosto che uccidere: “E se gli sparo in fronte o nel cuore\soltanto il tempo avrà per morire\ma il tempo a me resterà per vedere\vedere gli occhi di un uomo che muore\. Non mancano certo gli esempi per dimostrare perché Fabrizio De Andrè è il più poeta dei cantautori. Ma non solo quelli italiani, anche quelli americani come Bob Dylan o Leonard Coehn (canadese) o Georges Brassens (francese). Dov’è arrivato lui, gli altri non ci arriveranno mai. Nessun altro autore ha saputo cantare così civilmente l’odio per l’inciviltà del nostro tempo, il cinismo e l’indifferenza che hanno invaso questo mondo. Detestava le maggioranze (come non capirlo) e le loro capacità di fagocitare i sentimenti per poi anestetizzarli. Amava la notte (come non capirlo) e in lei ci si perdeva lavorando, scrivendo, bevendo, fumando, lavorando, incidendo, per poi svegliarsi alle quattro del pomeriggio. Quelle poche volte che ho avuto occasione d’incontrarlo mi ha sempre colpito come con le sue parole mi spiazzava, mi metteva in condizione di non riuscire a replicare ad ogni sua affermazione. La verità umana è cangiante. E questa sua lucida cognizione della ferocia dei vincitori, piuttosto che ispirargli rabbia e impotenza accendeva la sua forza narrativa e dilatava la sua dolcezza. Trovò la forza di cantare l’esperienza del sequestro vissuta con sua moglie Dori, percependo la debolezza finale dei suoi aguzzini e, per questo motivo, perdonandoli. L’ascolto di quelle ballate, di quei versi, di quella voce così profonda e tersa, è la grande compagnia che ci ha lasciato. Per ora. E su questo terra.
da Luigi Nocera
Se un qualsiasi cittadino dona 50 euro per i superstiti del maremoto e informa tutto il condominio con un comunicato in portineria è un cafone? Prego chiaritemi questo dubbio.